mercoledì 11 novembre 2009

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Mercati in bilico grandi bolle piccole riforme

Dopo l’urgenza iniziale, si ripetono elencazioni di routine delle cose che si dovrebbero fare (i Global Legal Standards di fattura domestica si sono lost in translation, come nel film); il Financial Stability Board si dedica a un impeccabile lavoro tecnico; il comitato di Basilea attende silenziosamente al rifacimento del precedente accordo che ha rivelato i suoi difetti. Il progetto di riforma dell’amministrazione, già incompleto alla nascita, si è arenato sulle secche del Congresso Usa. L’Europa riuscirà forse a varare un regolamento che riguarda non le regole ma l’assetto della supervisione. Con il superamento della fase acuta della crisi la forza delle cose ha esaurito la sua spinta: si respira aria di normalizzazione se non di restaurazione. Eppure al di là delle apparenze, qualcosa si è fatto. Il più da farsi trova ostacoli politici e suscita questioni irrisolte.
Qualcosa dunque si è fatto. Le stesse autorità il cui sonno aveva contribuito a creare le condizioni per la crisi si sono in parte redente con una gestione tempestiva del pronto soccorso impedendo il meltdown finanziario. Nell’emergenza l’azione di vigilanza è stata condotta con criteri e strumenti nuovi. Il rafforzamento del Financial Stability Board come organo del G20 pone la premessa per una sorveglianza collettiva sulla finanza globale. Si è finalmente intrapresa un’azione più decisa contro i paradisi fiscali e regolamentari. Tuttavia, per disegnare "un sistema finanziario più prudente, più stabile, meglio in grado di sostenere l’economia" (Draghi) il più resta da fare, e farlo non sarà né facile né immediato: servono da esempio tre questioni in cui interagiscono problemi tecnici e difficoltà politiche. Fra i contratti derivati, alcuni vengono scambiati su un mercato in cui le transazioni vengono compensate e poi regolate nei confronti di una controparte centrale. Altri vengono confezionati dalle banche "su misura" e sono negoziati con transazioni bilaterali. Nel secondo caso si accumulano ingenti posizioni lorde, che pongono a rischio la stabilità nel caso di fallimento di una delle parti (come avvenne per Aig, divenuta controparte di una enorme quantità di credit default swap, strumenti di assicurazione ma più spesso di scommessa sul rischio di fallimento di una società). Chiede il G20 che nella misura del possibile i derivati siano standardizzati e trattati su mercati ove operi una controparte centrale, o assoggettati a obblighi regolamentari più penetranti. L’attuazione di tali proposte ha sinora incontrato resistenza da parte delle maggiori banche per una ragione: la confezione su misura consente ricavi e profitti, che sarebbero cancellati da obblighi di produzione in serie; quei profitti intanto consentono negli Stati Uniti di conservare la benevolenza del legislatore.
Per assicurare una maggiore stabilità del sistema è necessario che i requisiti di capitalizzazione delle istituzioni finanziarie siano più esigenti per quantità e qualità del capitale, con riferimento alla leva finanziaria complessiva, alla struttura per scadenze di attivo e passivo, alla fase ciclica. Ma anche se i nuovi criteri fossero già definiti, non si potrebbe imporli da subito senza accentuare la stretta creditizia. Ma se non ora, quando verrà il momento giusto? Vi è poi una questione di fondo. Nel caso di una istituzione finanziaria, la dimensione rileva non solo sotto il profilo di tutela della concorrenza, ma a motivo delle conseguenze dirompenti sull’intero sistema finanziario che si verificherebbero se un’entità di grandi dimensioni fallisse. Come abbiamo verificato nel corso della crisi (in negativo con Lehman, in positivo in tanti altri casi) esistono in effetti banche TBTF, too big to fail. Ma per evitarne il fallimento deve intervenire la mano pubblica, con i soldi dei contribuenti. D’altra parte, i manager di una banca TBTF, nella virtuale certezza che vi sarà una rete di protezione, saranno indotti ad assumere maggiori rischi in vista di maggiori profitti: rischi tanto grandi da creare a volte quelle condizioni prefallimentari che richiedono infine l’intervento pubblico. Il problema non si pone nel caso di esercizio della tradizionale attività bancaria di operazione nel sistema dei pagamenti e di intermediazione del risparmio fra raccolta e impieghi, perché la regolazione e l’assicurazione dei depositi offrono un presidio valido di stabilità. Si pone invece quando la banca affianca all’attività tradizionale quella di investment banking, operando in proprio sui mercati e finanziandosi con raccolta a breve termine sui mercati all’ingrosso del credito e della moneta: in quest’attività risiede il pericolo per la stabilità finanziaria e le tasche dei contribuenti.
Come intervenire per prevenire i rischi e i costi delle banche TBTF, anche considerando che gli interventi operati durante la crisi hanno ridotto il numero e aumentato le dimensioni degli istituti sopravvissuti? Si ritiene a Basilea che bastino acconce misure prudenziali, come maggiori requisiti di capitale in relazione alla rischiosità delle operazioni o adeguate forme indirette di assicurazione. A giudizio del Governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King quest’impostazione è insufficiente. "L’esistenza di istituzioni TBTF [non è coerente] con la loro appartenenza al settore privato", che presuppone la possibilità di fallimento. L’incoerenza può essere risolta solo con qualche forma di separazione, più o meno drastica, fra l’attività bancaria tradizionale, regolata e garantita dal potere pubblico, e attività di investment banking e negoziazione proprietaria, priva di qualsiasi garanzia pubblica in caso di liquidazione e lasciata alla disciplina del mercato. Gli argomenti di King sono sorretti dalle migliaia di miliardi che le banche TBTF sono sinora costate, anche se le obiezioni mosse alla sua tesi non sono trascurabili. Il nuovo disegno che si sta tracciando a Basilea sarà valutato in base all’efficacia della soluzione offerta al problema. Ma le vie del Signore sono tante, almeno in Europa. Mentre i banchieri ponderano, l’ottima Commissaria alla concorrenza Kroes ha ottenuto una drastica riduzione della dimensione di una banca olandese e di due banche inglesi ricorrendo ai suoi poteri in materia di aiuti di Stato e di tutela della concorrenza. Sono forse tempi più difficili di quelli di Roosevelt, quando vi era un deserto di regole, o di quelli di Enron, quando si trattò di sanzionare e prevenire fenomeni di delinquenza economica. Si tratta di decidere se un sistema finanziario divenuto di straordinaria complessità abbisogna solo di un penetrante restauro conservativo o richiede piuttosto interventi drastici e di difficile attuazione.

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