martedì 17 novembre 2009

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I dentisti chiedono aiuto: siamo in crisi

ROMA - Anche i dentisti piangono. Piangono perché nell’Italia della crisi le famiglie stringono la cinghia e i clienti calano: meno 35 per cento negli ultimi sei mesi. Piangono perché sono in aumento gli italiani che, pur di risparmiare, per un ponte o una protesi vanno in Ungheria o in Croazia. Piangono perché
. entro fine anno una direttiva aprirà le porte del nostro Paese ai dentisti dell’Europa a 25, Polonia compresa per farsi un’idea. Piangono, in realtà, perché il miraggio di quella che negli anni Novanta era considerata una professione d’oro (molti soldi/poco lavoro), ha attirato così tante persone che fare affari è ormai un’impresa. Almeno a sentire loro, che parlano di «sindrome della poltrona vuota».
Dice Roberto Callioni, presidente dell’Andi, l’Associazione nazionale dentisti italiani: «La crisi economica ha colpito il ceto medio e, di riflesso, è arrivata a noi: la coppia di impiegati con due figli, lo zoccolo duro della nostra clientela, a farsi curare non ci viene più». In realtà i problemi vengono da lontano. Già tra il 1999 e il 2002 i clienti erano diminuiti del 10 per cento. Allora l’economia tirava e di effetto euro non si parlava ancora. Cosa era successo? Semplicemente, i dentisti stavano diventando troppi. Se nel 1992 erano 22 mila oggi sono 53 mila, più del doppio. Abbiamo un dentista ogni 1.115 abitanti contro uno standard fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità, e rispettato in buona parte del mondo occidentale, di uno ogni 2 mila. «Negli anni Novanta - spiega il presidente dell’associazione dentisti - la nostra professione sembrava una miniera d’oro e tutti hanno cercato di salire sulla barca. E’ mancata una seria programmazione».
In realtà programmazione c’è stata ma, come dire, flessibile. I corsi di laurea per diventare dentista sono a numero chiuso: ogni anno possono entrare 900 studenti in tutta Italia ma fino a pochi anni fa erano ben sopra quota mille. E poi siamo pur sempre il Paese delle sanatorie: «Fino alla metà degli anni Ottanta - spiega Maurizio Troiani, segretario del sindacato odontotecnici - per fare il dentista bastava la laurea in medicina. Quando è stato creato il corso ad hoc, molti laureati hanno fatto ricorso, a questi si sono poi aggiunti quelli che non riuscivano a passare con il numero chiuso. E di tanto in tanto ci ha pensato la politica con una bella sanatoria elettorale». Si calcola che in questo modo siano entrate nella professione almeno 3 mila persone.
Ora i dentisti chiedono aiuto al governo. Oggi a Roma hanno organizzato il Dental day, un convegno in cui proporranno di alzare il tetto del 19 per cento per la somma che il paziente può scaricare dalle tasse. Ma alla parola tasse bisogna fermarsi un attimo. I dentisti sono stati sempre considerati tra i soggetti a maggior rischio evasione fiscale. Solo nel 1995 - quando i controlli si concentrarono su di loro - la Guardia di finanza scoprì 70 miliardi di lire non dichiarati. Secondo uno studio del Censis, il 15 per cento non rilascia ricevute, valore che sale al 27,7 per cento secondo l’Istituto di ricerche economiche e sociali. «Qualche evasore ci sarà - commenta il presidente dell’associazione dentisti - ma meno che nelle altre professioni visto che le nostre parcelle, a differenza di quelle di avvocati e commercialisti, sono in parte detraibili».
Carlo Rienzi - presidente dell’associazione dei consumatori Codacons - ha il coraggio di dire quello che molto si limitano a pensare: «La verità è che questi signori hanno due tariffari: uno senza ricevuta e con lo sconto, l’altro con ricevuta e a prezzo pieno. Considerando anche il sommerso non credo che la situazione sia così drammatica, ma era ora che la crisi colpisse anche loro. Speriamo che vengano a più miti consigli e abbassino prezzi. Vedranno come la gente tornerà da loro»
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