sabato 14 novembre 2009

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I teatri nella crisi: come rispondere ai tagli e al calo di pubblico?

Abbiamo parlato della situazione dei tagli e del calo di pubblico.
Ma come possono intervenire gli operatori culturali, ovvero i responsabili dei teatri? Se non possiamo intervenire sul cambio di rotta politica, almeno fino alle prossime elezioni, ma anche lì la vedo dura, possiamo però iniziare ad adottare quegli accorgimenti che già stanno funzionando.

Per carità chi vi scrive non ha la soluzione, ma mette sul piatto la sua assidua frequentazione dei teatri della capitale. Il dilemma chiaramente è il seguente: come arginare i “forni” (l’assenza di pubblico)? E’ un problema legato ai grandi teatri, ma non solo. Iniziamo proprio nel dare un’ occhiata ad alcuni buoni esempi.
Il Teatro Palladium è uno di questi, il suo programma si basa a mio avviso su alcuni importanti fattori: la freschezza (un teatro giovani artisti per un pubblico di giovani-mentalmente-), la ricerca di spettacoli che siano il risultato di uno studio a tutto campo sulle possibilità del linguaggio teatrale, l’intrusione nel cartellone di diverse esperienze performative (ovvero la musica, la danza e il cinema). E’ chiaro che da questo punto di vista il Palladium è stato probabilmente favorito dalla collaborazione con la Terza Università di Roma che contribuisce decisamente nell’arricchimento culturale del programma. Ultima caratteristica, a mio avviso, determinante in tempo di crisi e di calo di pubblico è l’alternarsi degli spettacoli, ovvero la struttura stessa del cartellone. Gli spettacoli in scena al teatro della Garbatella non rimangono in programma per più di 3 o 4 giorni. I frequenti cambi fanno si che il teatro difficilmente rimanga senza pubblico, difficilmente si assiste ai tristi forni domenicali protagonisti in altri teatri della capitale dove alcuni spettacoli replicano per due o tre settimane.

Il Teatro di Roma ha recepito in parte questo nuovo atteggiamento e lo ha applicato al Teatro India, se guardate il programma noterete non solo un cartellone pieno di giovani artisti e compagnie di ricerca, ma soprattutto noterete un frenetico susseguirsi di spettacoli che rende la stagione dell’india come un festival di teatro contemporaneo lungo un anno.

Il Teatro Quirino, che dalla prossima stagione verrà affidato a un privato, da questo punto di vista attua una gestione in controtendenza che, a mio avviso, non può far altro se non peggiorare le cose e allontanare maggiormente il pubblico, soprattutto quello giovane (che poi è quello del futuro!). Il teatro gestito dall’Eti propone non solo un cartellone che non ha neanche l’ombra dell’innovazione, ma oltretutto si permette di tenere in replica alcuni spettacoli per un mese. Vi faccio un piccolo esempio: adesso è in scena I due gemelli veneziani, di Goldoni con Massimo Dapporto, dunque la scelta è mirata, il target è svelato, testo classico + nome televisivo dal grande richiamo = grande successo. Secondo me non è così, secondo me questo era un discorso che valeva sino a qualche anno fa. Il Quirino ha 930 posti, lo spettacolo con Dapporto sta in scena dal 3 febbraio al 1° marzo, ovvero 18 repliche, se volessero raggiungere l’utopistico pienone ogni sera, dovrebbero avere un bacino di pubblico disposto a vedere I gemelli veneziani di 16.740 persone. Ma anche se si accontentassero della metà degli spettatori, in 18 giorni sarebbero comunque più di 8000 e se pensiamo che uno spettacolo del genere taglia fuori una gran fetta di pubblico (quello alla ricerca del “nuovo”) allora mi chiedo il perché di tanta ostinazione. I direttori di teatri come il Quirino dovrebbero capire che qui non siamo a Brodway.

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