mercoledì 25 novembre 2009

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La crisi dei bar non deriva solo dalla recessione: è una crisi d'immagine e di immaginario

Che pensare per il 2009? Innanzitutto che siamo di fronte a un consumatore impaurito.

E’ successo tra i consumatori quello che è successo in borsa: la componente emotiva ha
preso il sopravvento e, se in borsa si è arrivati al panic selling, molti consumatori hanno tirato il freno a mano.

Hanno rivisto le loro abitudini, spendendo meno dove normalmente si concedevano dei piaceri regolari e quotidiani. Ma qualche euro in tasca evidentemente c’era: non si spiegherebbero i voli pieni per le mete calde e il tutto esaurito nelle stazioni sciistiche.

Non sto certo affermando che la crisi non c’è: a seconda del settore e a seconda dell’azienda si registrano fatturati a meno una o due cifre.

L’economia insomma sta frenando, ma le Cassandre sciaguriste stanno gettando, in maniera colpevole, il panico tra la gente.

Un primo effetto di questa economia in decelerazione è sicuramente la maggiore attenzione a spendere meglio. E non è poco: vuol dire essere più critici. Meno quantità, più qualità. E la qualità, nel settore del caffè, non si inventa dall’oggi al domani: tostare buoni chicchi per buoni espresso si acquisisce in anni di sforzi. Quindi questo atteggiamento di maggiore prudenza nell’acquisto sarà utile a rendere l’offerta migliore perché premierà chi produce bene.

Qualcuno potrebbe obiettare che il consumatore si butterà sul caffè porzionato, sull’espresso casa in cialda o capsula. I consumi al bar sono in calo ed è chiaro che c’è una certa migrazione verso la cialda. Ma anche in questo caso non sono convinto che il fenomeno si spieghi esclusivamente su basi economiche. Siamo di nuovo alla qualità: se il caffè al bar è cattivo, preferisco farmelo a casa o in ufficio. In questo c’è anche una componente di autogratificazione di sapersi regalare da soli un caffè che si considera di qualità, mentre il barista ci avrebbe rifilato una ciofeca. Che la cialda o la capsula siano soprattutto dei momenti di gratificazione è dimostrato anche dal design delle macchine, così belle da potere essere un vanto con gli amici. Intorno al caffè porzionato c’è quindi un immaginario le cui radici affondano in minima parte nella razionalità dell’economia e in massima nella voglia di status.

Siamo positivi, di moneta ne gira ancora. Però per riportare la gente nei bar dobbiamo convincerla che ne vale davvero la pena. Dobbiamo ricostruire l’immaginario dell’espresso e del cappuccino, lavorare sulla qualità e condividerla, direi soprattutto emotivamente, con il consumatore. Caffè buono, macchine perfette e baristi professionali: è la filosofia che l’Istituto Nazionale Espresso Italiano sta portando avanti da una decina di anni. Entrare al bar deve tornare a essere prima di tutto un’esperienza emotivamente e sensorialmente coinvolgente. Lavoriamo in questa direzione: soffriremo meno la crisi e getteremo basi realmente solide per il futuro.

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