lunedì 9 novembre 2009

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Industrie come le banche "Troppo grandi per fallire"

Gran parte delle analisi concernenti la recente crisi economica, così come i rimedi proposti, hanno riguardato il sistema finanziario ed in particolare le banche, mentre le imprese industriali sono state il più delle volte, considerate vittime sacrificali. A ben guardare, tuttavia, molti dei problemi emersi hanno interessato, seppure in maniera più marginale, anche le imprese non finanziarie. Così la distinzione fra vittime e carnefici risulta meno evidente di quel che a prima vista può apparire. Vediamo perché.
In primo luogo anche le imprese non finanziarie negli ultimi anni hanno vissuto nel mito del gigantismo e della globalizzazione a tutti i costi, il più delle volte, perseguito a colpi di fusioni e acquisizioni. Così anch’esse in alcuni casi sono diventate "too big to fail", troppo grandi per fallire, ed hanno goduto della protezione e degli aiuti pubblici.
Tipico, a questo proposito, il caso dell’industria automobilistica, dove ragioni sociali hanno indotto i governi di tutti i paesi a sostenere in qualche modo la loro sopravvivenza. Questo crea ovviamente un problema di azzardo morale giacché il sistema finanziario tende a finanziare più volentieri le grandi imprese per le quali la probabilità di default risulta più bassa. In altre parole la crescita delle banche è andata di pari passo con la crescita delle principali imprese multinazionali ed anzi è risultata ad essa sinergica. Quante volte, anche in Italia, abbiamo sentito dire che le banche avrebbero dovuto accompagnare le imprese nel loro processo di internazionalizzazione.
In secondo luogo anche le imprese hanno negli anni aumentato il loro indebitamento e quindi la loro leva finanziaria. Operazioni di pay back e distribuzioni di dividendi si sono accompagnate ad acquisizioni finanziate a debito, mentre i fondi private equity hanno fatto aumentare notevolmente il grado di leva di molte aziende che oggi si trovano in difficoltà. Da questo punto di vista anche la teoria economica ha favorito la cultura del debito, poiché molti autori hanno sostenuto che l’indebitamento accresce la pressione sui manager e riduce le tentazione ad una scorretta allocazione delle risorse. Pertanto il grado di leva del sistema finanziario è andato di pari passo con il grado di leva del sistema industriale ed è risultato ad esso sinergico: le banche prestavano molto a chi voleva indebitarsi molto.
Per quanto riguarda poi l’ammontare ed il sistema di remunerazione dei manager, il settore non finanziario, soprattutto delle grandi imprese, non ha nulla da invidiare a quello finanziario. Short terminis ed incentivi ad assumere troppi rischi sono tratti comuni ad entrambi i settori. La cosa dall’altra parte appare piuttosto logica se si pensa che il mercato del lavoro dei manager delle grandi imprese è diventato anch’esso sempre più globalizzato ed intergrato.
Infine, appare interessante osservare quello che sta accadendo sul fronte dei derivati over the counter, cioè non negoziati in un mercato regolamentato. Infatti, tutti i tentativi che le autorità stanno facendo per regolamentarli, ad esempio istituendo una controparte centrale che attenui i rischi sistemici, sta trovando una compatta resistenza sia da parte delle principali banche che delle più importati società finanziarie. Le prime, preoccupate di perdere gli ingenti profitti che queste attività producono e le secondo che temono i costi finanziari che saranno costrette a sopportare nel caso dovessero versare margini giornalieri alle "clearing house" a seguito dei movimenti dei prezzi delle attività sottostanti. Anche in questo caso grandi banche e imprese non finanziaria si trovano sullo stesso lato della barricata.
In conclusione ritenere che le grandi banche siano la principale se non l’unica causa dell’attuale crisi finanziaria risulta riduttivo e forse fuorviante. Grandi imprese finanziarie e non hanno invece giocato un gioco cooperativo spesso ai danni degli Stati. Questi d’altra parte hanno sempre difeso i campioni nazionali di tutti i settori. Forse in cambio i governi ricevono benefici di ordine finanziario e soprattutto non finanziario che sarebbe interessante qualificare ed eventualmente quantificare.
Pertanto come recita l’ultima aria dell’opera di Mozart "Fortunato l’uom che prende ogni cosa pel buon verso e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa".

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