lunedì 30 novembre 2009

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Giappone: Contro la crisi? I grandi magazzini anticipano la chiusura

Dati i cali nelle vendite a causa della recessione economica, i più importanti grandi magazzini giapponesi hanno deciso di anticipare l'orario di chiusura per ridurre le spese elettriche e altri costi.

Dal mese prossimo a Tokyo la Isetan chiuderà alle 19:00 - 30 minuti prima - in quattro outlet, tra i quali il negozio Kichijoji di Musashino.

Anche Mitsukoshi chiuderà un'ora prima, alle 19:00 nello store principale di Nihonbashi (Tokyo) e a Sapporo (prefettura di Hokkaido), mentre in altre sei sedi, tra le quali quella di Chiba, chiuderà con 30 minuti di anticipo.

"Potremo applicare simili orari di chiusura anche in altri nostri negozi", ha dichiarato un portavoce di Mitsukoshi. L'azienda, che con tali provvedimenti risparmierà 2 miliardi di yen all'anno, ha intenzione anche di aggiungere altri giorni di chiusura per festività in quattro suoi store.

Modifiche nell'orario di chiusura anche per Takashimaya in due store di Tokyo, per Izutsuya con sede nel Kyushu, e per la Saga Tamaya nella prefettura di Saga, che ha intenzione di aggiungere un giorno di chiusura al mese oltre all'usuale chiusura del primo dell'anno.

In Giappone la maggior parte dei grandi magazzini è aperta tutto l'anno dalle 10:00 alle 19:00 o alle 20:00, e rimane chiusa solo il giorno di Capodanno. Tuttavia, data la scarsa affluenza di clienti negli store delle grandi città durante il fine settimana e nelle ore serali, i più importanti grandi magazzini hanno deciso di modificare gli orari di apertura.

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"Figlio mio, lascia questo Paese"

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
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Sci, caldo e poca neve l'apertura della stagione slitta

Le minime troppo alte ritardano l'inaugurazione degli impianti. Impossibile sparare neve artificiale: le temperature miti la scioglierebbero BELLUNO - È stop forzato per l’apertura ufficiale della stagione sciistica 2009-2010 che punta, per dare il via generale, al di là di qualche pista già aperta, al ponte dell’Immacolata. La causa è nelle temperature minime che sfiorano solamente lo zero e il maltempo, ma senza nevicate, che non permette neppure l’innevamento artificiale.

«Troppo caldo, troppo caldo - dice Italo Mazzonelli del consorzio del Civetta - e così tutti abbiamo deciso di rimandare l’apertura della stagione, da qualche parte si scierà, come sul Faloria a Cortina, ma per il resto sulle Dolomiti aspettiamo la prossima settimana». Sul fronte meteo all’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav) il centro di Arabba (Belluno) non lascia alcun spiraglio. «Se nevica - dicono gli esperti - cadranno al massimo dai due ai cinque millimetri di neve, praticamente nulla specie se si considera che lo zero termico è ben oltre io 3000 metri di quota». Le temperature miti, anche sei-sette gradi oltre la media stagionale non permettono - secondo l’Arpav - neppure di sparare neve perchè destinata a sciogliersi subito. Sul fronte delle previsioni qualche spiraglio di un cambio di rotta c’è per la prossima settimana ma è troppo presto per dare certezze.
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domenica 29 novembre 2009

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INPS in crisi: "ci sono migliaia di domande, stanno licenziando tutti, non sappiamo come smaltire le pratiche"

Boom di disoccupati, l'Inps va in crisi
In decine fanno la coda ogni giorno per sentirsi dire - accusano i nuovi licenziati - che "ci sono migliaia di domande, stanno licenziando tutti, non sappiamo come smaltire le pratiche". Gli uffici Inps in via Melchiorre Gioia
Trentasei persone aspettano il loro turno nella sede centrale Inps di via Melchiorre Gioia. Ognuna con un foglio in mano su cui è scritto, in forme diverse: licenziato, fuori dalla catena produttiva, senza più lavoro. È l’esercito delle vittime della crisi, uomini e donne espulsi dalle fabbriche, dagli uffici, dalle aziende in coda per il sussidio della disoccupazione. Sono sempre di più: nell’area metropolitana di Milano il loro numero è cresciuto, a fine del 2008, del 43,72 per cento, con punte del 65 per cento a Vimercate, del 62 a Bollate, del 52 a Milano Lorenteggio, del 49 a Niguarda.

Nelle prime settimane del 2009 le richieste di indennità stanno crescendo a un ritmo ancora maggiore: nella sede di via Gioia, spiega Marzia Oggiano, della Cgil, «sono triplicate rispetto a febbraio 2008. In media negli uffici si presentano ogni giorno fra le 300 e le 400 persone». E così al danno rischia di aggiungersi la beffa: migliaia di disoccupati e senza neppure quell’aiuto economico — pari al 60-70 per cento dell’ultimo stipendio — che consenta di tirare avanti per otto mesi in attesa di un altro lavoro. «Dopo essere stata licenziata grazie alla crisi — scrive una donna — il primo dicembre ho fatto richiesta per il sussidio. Ma a oggi, dopo due solleciti, non ho ricevuto alcuna comunicazione né soldi. La risposta è sempre la stessa: abbiamo migliaia di domande, stanno licenziando tutti, non sappiamo come smaltire le pratiche».

In tutta l’area metropolitana le richieste sono state 26mila 625 contro le 18mila 525 del 2007. Molte (18mila 501) ottengono una risposta positiva. Ma per ottenere davvero i soldi bisogna aspettare e sottoporsi a un’estenuante trafila burocratica. Il primo passaggio è in viale Jenner, al Centro per l’impiego, dove, lettera di licenziamento alla mano, si chiede l’iscrizione nelle liste di collocamento. «Anche qui stiamo registrando un notevole incremento dell’affluenza — conferma la direttrice, Francesca Casanova». Ma è all’Inps che si perde più tempo. Gli impiegati fanno quello che possono. «Inizialmente c’era solo uno sportellista, ora sono due o tre — spiega ancora Oggiano — E comunque sono troppo pochi, visto l’incremento delle richieste. Spesso i colleghi saltano l’intervallo per mantenere lo sportello aperto»..
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sabato 28 novembre 2009

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In Spagna è crisi dei concerti.. e tra poco arriva in Italia

La crisi che stiamo vivendo in questo periodo non risparmia neanche la musica dal vivo e il settore dei concerti sta soffrendo un duro colpo in Spagna. Riferisce il quotidiano El Pais che i comuni hanno tagliato il 60% dei fondi dedicati all’organizzazione dei tipici concerti estivi.
A seguito dei taglio di bilancio, i cantanti più famosi di Spagna sono stati obbligati
. a ridurre gli spettacoli e anche le retribuzioni. Gruppi come Amaral o El canto del loco, chiedono quest’anno 50 mila euro per un esibizione e non 80 mila come l’anno scorso. In Italia La crisi planetaria dell’industria discografica ha portato gli artisti e i management a fare una scelta obbligata: perdiamo da una parte, ma recuperiamo dall’altra. Un Keith Jarrett alla Scala di Milano o un David Gilmour a piazza San Marco a Venezia possono pure valere 250 euro. Bisogna essere “malati cronici” per tirar fuori tutti questi soldi? Tirando la corda, prima o poi si spezza. Ed è accaduto questa estate tra diverse date annullate o biglietti invenduti. E i sold out annunciati? Quelli lasciano il tempo che trovano e sono ”lo specchietto per le allodole”. C’è una via di scampo? Puntare alla formula last minute e sperare che qualche ora prima del concerto ci sia una svendita in atto. E’ successo alle recenti tappe milanesi dei Depeche Mode e U2 con biglietti acquistati tra i 10 e i 30 euro. Nonostante l’euforia mediatica, persino Madonna in Italia non riesce a fare il tutto esaurito: per la dea del pop a Milano sono rimasti più di 20.000 biglietti invenduti, mentre la tappa di Udine del 16 luglio fa registrare dati ancora più sconfortanti! Un fan di Veronica Ciccone mi ha confessato: “Con il budgest da investire per vederla a Roma due anni fa, ho pagato un volo a/r per Parigi, una notte in albergo e il biglietto per la tappa francese”. Mi sembra un’altra via d’uscita per scampare i soliti ricatti all’italiana e dare un nuovo senso ai nostri viaggi lampo in Europa. Il 24 agosto lady Madonna sarà a Belgrado e il biglietto più economico costa 32 euro… Facciamoci un pensierino per riannodare il fascino dei Balcani alla musica pop trasgressiva e visionaria. Mentre i Sud Sound System per combattere le crisi hanno iniziato la campagna a 5 euro al biglietto. Prima tappa ad ERCHIE Provincia di Brindisi
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Guidi: "Sarà meglio che i ragazzi tengano pronta la valigia per l’estero" L’INTERVISTA

«Se fossi ministro dell’università imporrei che lauree come ingegneria e economia fossero concesse solo a chi ha passato sei mesi a lavorare all’estero. I giovani devono capire che solo sapendo vivere fuori troveranno un posto e che l’Italia sarà la casa dove tornare ogni tanto». Guidalberto Guidi, amministratore delegato della Ducati energia, ha da tempo un occhio attento alle vicende dell’industria è stato vicepresidente di Confindustria e oggi ha un osservatorio privilegiato dato che guida l’Anie, l’associazione delle imprese elettromeccaniche. Qualche tempo fa è entrato nel Comitato Scientifico della Fondazione Politecnico di Milano. Sul futuro del lavoro in Italia non ha molti dubbi: «Qui è destinato a sparire il 50% del settore manifatturiero e se non ci si prepara a considerare la Cina, l’India, il Brasile, come luoghi di lavoro e l’inglese come la propria lingua non si avrà un grande futuro».
Colpa della crisi?
«Non solo. La crisi accelera un tendenza già in atto da qualche anno e ci costringe a fare i conti prima con la realtà».
La ripresa non cambia le cose ridando qualche ottimismo?
«Non si tratta di pessimismo od ottimismo. Basta guardare i dati e le realtà locali. Ieri ero vicino Bologna in un paese con 12.000 abitanti: c’erano 1200 cassaintegrati. Le cronache sono piene di fabbriche che stanno chiudendo. Parlo dell’Italia da Roma in su. Figuriamoci per quella del Sud».
Ma i suoi dati che cosa dicono?
«Che in meno di un anno l’industria meccanica ha avuto cali del 30% del fatturato per i più fortunati, e fino al 70 gli altri. E stiamo parlando di aziende che sono la punta del sistema industriale quanto a spese di ricerca. Dopo c’è stato qualche segno di ripresa, o meglio la fine della caduta. Ma se va bene ci stabilizzeremo intorno ad una perdita del 30%».
La situazione è destinata a peggiorare?
«Sì, perché cali di questo genere non possono essere sopportati da molte aziende, soprattutto se poco patrimonializzate. C’è un universo di piccole e medie imprese, che non hanno la possibilità di sopravvivere con questa domanda e purtroppo sono destinate a morire».
I piccoli accusano le banche…
«Non credo che siano la causa. Ce la pigliamo con il credito: ma c’è una miriade di imprese che non ha portafoglio, non ha ordini da portare in banca: e la crisi si avvita passando da loro ai fornitori che non vengono pagati».
Metà dell’industria manifatturiera destinata a sparire. Non le pare pessimismo?
«Vorrei sbagliarmi ma secondo me è così. Abbiamo costi di produzione fuori mercato. E non è solo questione di offerta: nel complesso dell’industria produciamo troppo rispetto a quello che il mondo può assorbire, e con un dollaro che oscilla intorno 1,50 sull’euro scompare un’intera area come possibile mercato».
Ma c’è la crescita di mercati come Sudamerica, India e Cina…
«Ah sì, quella c’è. Ma ormai hanno imparato la lezione dell’industrializzazione e producono quel che serve in casa. Guardi il mondo delle moto: sono state un settore di punta in Italia, i giapponesi a suo tempo hanno comprato nostri componenti e hanno imparato da noi a fare moto. Eppure il settore della componentistica italiana sta evaporando, per usare un eufemismo. Pur in presenza di un mercato cinese che vale 27 milioni di pezzi, cioè dieci volte quanto quello russo e americano».
Ma non c’è un primato, almeno per la meccanica? Qualcuno riprenderà ad investire quando la crisi si attenuerà?
«Certo ci saranno alcune aziende che manterranno le loro nicchie e i loro primati tecnologici. Ma tutto questo vale per pochi. Per la massa dei produttori no. Anche in questi settori i paesi che si sono industrializzati hanno imparato: noi della Ducati per lo stabilimento indiano abbiamo comprato macchine prodotte laggiù con un costo pari al 10% di quello che avremmo pagato qui. E poi anche gli altri paesi sono andati avanti: abbiamo trasferito alcune attività dalla Croazia e l’operazione è stata fatta dagli operai croati che per giunta sanno l’inglese quando io a volte faccio fatica con i miei ingegneri».
Costi troppo alti, aziende che portano altrove le produzioni: questo processo va avanti almeno da dieci anni e molte industrie sono sopravvissute e anche cresciute. Non sarà così anche questa volta?
«Non credo, e non lo dico adesso sulla scorta dei dati della crisi economica. E da almeno tre anni che sostengo che c’è una mutazione genetica e un cambiamento strutturale per il nostro sistema manifatturiero. Non conta più dove si produce: per la meccanica la certificazione di qualità si fa anche in India. Certo, tutti noi in questi anni abbiamo potuto trarre profitto e anche qualche illusione dalla una crescita importante dall’ industrializzazione di paesi come Cina e Brasile…Ma hanno imparato in fretta e le cose se le fanno da loro».
Alcuni dicono che la delocalizzazione si è fermata. E’ così?
«Alcuni lo dicono. Ma non ho visto in questi anni industrie che siano tornate indietro e penso che sia ora di affrontare con realismo e, se necessario, anche con cinismo questi problemi».
Come quando di fronte ad un pubblico di professori e studenti ha detto chiaro e tondo che se si vuole trovare lavoro è meglio far la valigia e andare all’estero?
«Sì, e lo penso. Volevo rispondere a chi sostiene che questo non è un Paese per giovani. Oggi non è questo il problema. Purtroppo nel sistema italiano, e per molti motivi, scende la possibilità di occupare giovani. E questi devono mettere in conto un cambio di mentalità se vogliono trovare un’occupazione».
Il manifatturiero non è tutto, e in fondo è un po’ scontato che il peso dell’industria scenda: ci sono il terziario, l’edilizia…
«Certo: c’è il turismo e così via. Ma non vedo l’Italia sulla via per diventare un centro di servizi finanziari, tipo Londra. Né un futuro nel settore immobiliare. Il terziario italiano è sempre stato un complemento del sistema industriale e la riduzione si ripercuoterà anche su questo: a meno di non immaginare un valanga di avvocati e commercialisti occuparsi di liti di condominio».
Quindi valigia in mano?
«Sì, è soprattutto nella testa. Il futuro è in quei Paesi che stanno crescendo, in Cina, in India, in Brasile e in quelle industrie italiane che, multilocalizzate, sapranno rispondere alla sfida del mercato alzando l’asticella tecnologica dei prodotti. Quindi chi vuole trovare lavoro deve cambiare mentalità, capire che l’Italia sarà un posto magari dove tornare ogni sei mesi, essere abituato a parlare l’inglese, e possibilmente anche un’altra lingua, come la propria, e pensare da ora in avanti che lauree come quelle in scienza della comunicazione sono anni impiegati in un arricchimento personale più che nella formazione».
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venerdì 27 novembre 2009

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Addobbi natalizi: la crisi non si ferma

L'albero costerà il 20% in più
ROMA L’aumento dei prezzi nel settore degli articoli natalizi e la crisi che ancora incombe in Italia avranno conseguenze dirette sulle abitudini degli italiani. In particolar modo l’albero di Natale quest’anno sarà . minimal: in base ad una indagine condotta dal Codacons, infatti, la tendenza sarà quella di ridurre al minimo l’acquisto di palline, lucine, nastri e altri accessori per ornare l’albero. Gli italiani preferiranno riutilizzare decorazioni già acquistate e usate negli anni passati o allestire un albero di piccole dimensioni e con un numero ridotto di accessori, al fine di contenere la spesa. Clima di austerity anche per gli addobbi della casa, qui la parola d’ordine sarà «riciclare», sfruttando tutto ciò che si è acquistato in precedenza, specie tovaglie, candele, festoni, centrotavola, decorazioni per le porte.

I prezzi elevati costringeranno una famiglia su tre a rinunciare al cenone, rivedendo drasticamente il menù casalingo e magari trasformandolo in un cenino, preferendo la qualità alla quantità. «Tra i prodotti che hanno subito gli aumenti più eclatanti troviamo i classici panettone (+5,4%), torrone (+5%) e pandoro (+4,3%), i datteri meno 4,3%. Per sostenere tutte le spese, in alcuni casi, non basterà neanche l’apporto della tredicesima, che per l’85% sarà dedicata -dice il Presidente dell’Adoc- a coprire le spese ordinarie. Un salasso per le famiglie, che praticamente l’hanno già spesa prima di incassarla e che oggi più che mai fanno affidamento sul surplus di stipendio per fronteggiare la crisi. Un surplus che riteniamo debba essere detassato, in modo da fornire un minimo ritorno economico. E sulle tavole si vedranno sempre meno i prodotti di lusso come caviale e champagne. Natale non è più tempo di spese folli e grandi libagioni. Sarà magro, freddo e lowcost».

Secondo l’associazione dei consumatori Federconsumatori: dal confronto con il 2008 emerge che il prezzo dei tradizionali albero è aumentato anche del 20%. Più in generale, con l’avvicinarsi delle feste, mostrano forti incrementi tutti gli articoli natalizi e gli addobbi: «nel corso di 8 anni - si legge in un comunicato di Federconsumatori - vi sono stati aumenti incredibili, con variazioni che oscillano tra il 72% e il 554%». Solo qualche esempio: la carta da regali, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio di Federconsumatori, costa oggi il 15% in più rispetto al 2008; una confezione da 12 palline dorate, con cui decorare l’albero, costa circa 2,50 euro, il 16% in più rispetto all’anno scorso.
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giovedì 26 novembre 2009

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Finanziaria, Tremonti: se ci sarà deficit sarà solo per cassa integrazione

ROMA (26 novembre) - «Se c'è bisogno di fare deficit, si fa solo sulla cassa integrazione, sul sociale». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti intervenendo in commissione Bilancio della Camera nel dibattito sulla Finanziaria. Tremonti ha comunque notato che, secondo i dati Inps di ottobre, sulle richieste di Cig c'è un'inversione di tendenza. Ieri Tremonti ha convinto il Pdl e il governo della necessità di niente taglio dell'Irap e dell'Irpef e niente cedolare secca sugli affitti. Da Gianfranco Fini l'avvertimento: no ad una eventuale fiducia su un maxiemendamento confezionato in extremis.

Se il Pil nel 2010 crescesse dell'1,2%, come stimato dall'Ocse, «dovrei dire magari al cubo», ha detto Tremonti sottolineando che tuttavia ha dei dubbi su dati si previsione con delle virgole. La stima fatta «la incasso molto volentieri». Ma quando si dice « "uno virgola" ... boh».

Epifani concorda. Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ritiene che possa essere utile un lieve aumento del deficit «per fare investimenti che rafforzino la crescita». «Si fa un piccolo aumento della spesa adesso che sarà poi compensato da un aumento della crescita del Pil e dell'occupazione. Su questo Tremonti rifletta». Epifani ha ribadito la richiesta della Cgil di raddoppiare la durata dell'indennità di disoccupazione e di aumentare il massimale della cig. «Bisogna dare una risposta ai precari che hanno perso il lavoro».

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mercoledì 25 novembre 2009

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Crisi economica 2009-2010 in Italia ma anche in Germania. Recessione e licenziamenti per 2 anni

E’ stato definito un biennio di recessione quello che l’Italia vivrà fino alle soglie del 2010. Secondo Confindustria, il Pil diminuirà dello 0,5% quest'anno e dell'1,3% nel 2009. La ripresa comincerà a farsi vedere solo alla fine dell'anno prossimo segnando poi nel 2010 un +0,7 per cento e ciò che sarà maggiormente colpito sarà il mercato del lavoro.

Per la prima volta dal 1994, nel 2009, la variazione annua dei posti di lavoro sarà negativa dell'1,4% e ciò inciderà sul reddito e i consumi delle famiglie. Un parziale recupero è atteso nel 2010 (+0,8%), soprattutto nella seconda metà dell'anno. Un parziale rientro sarà previsto, sempre solo nel 2010, anche per quanto riguarda l’indebitamento. Nel 2009, nel frattempo, l'indebitamento netto sarà pari al 3,3% del Prodotto interno lordo dopo il 2,6% del 2008.

Ma non finisce qui perché il Centro studi di Confindustria rilancia l'allarme credit crunch: nell'ottobre 2008 l'ammontare erogato resta in aumento, ma ha rallentato all'8,4% annuo, oltre sei punti di crescita in meno. E la situazione è destinata a peggiorare nel 2009. Il che non fa prevedere nulla di buono perché sarebbero a rischio non solo gli investimenti nelle imprese ma la sopravvivenza stessa delle imprese. La condizione di recessione non è però il solo evento italiano.

Anche la Germania soffre: è in recessione dal secondo trimestre del 2008 e si prepara ad affrontare due anni di crescita negativa. Ad annunciarlo è l'istituto di ricerca economica Ifo. Il biennio della recessione, nel 2009 crescita negativa con Pil a -2,2%, nel 2010 Pil a -0,2%. Inflazione in calo, si passera' da +2,6% del 2008 a +0,9% nel 2009 e +1,4% nel 2010. La disoccupazione salira' dal 7,5% del 2008 al 9,2% del 2010.







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La crisi dei bar non deriva solo dalla recessione: è una crisi d'immagine e di immaginario

Che pensare per il 2009? Innanzitutto che siamo di fronte a un consumatore impaurito.

E’ successo tra i consumatori quello che è successo in borsa: la componente emotiva ha
preso il sopravvento e, se in borsa si è arrivati al panic selling, molti consumatori hanno tirato il freno a mano.

Hanno rivisto le loro abitudini, spendendo meno dove normalmente si concedevano dei piaceri regolari e quotidiani. Ma qualche euro in tasca evidentemente c’era: non si spiegherebbero i voli pieni per le mete calde e il tutto esaurito nelle stazioni sciistiche.

Non sto certo affermando che la crisi non c’è: a seconda del settore e a seconda dell’azienda si registrano fatturati a meno una o due cifre.

L’economia insomma sta frenando, ma le Cassandre sciaguriste stanno gettando, in maniera colpevole, il panico tra la gente.

Un primo effetto di questa economia in decelerazione è sicuramente la maggiore attenzione a spendere meglio. E non è poco: vuol dire essere più critici. Meno quantità, più qualità. E la qualità, nel settore del caffè, non si inventa dall’oggi al domani: tostare buoni chicchi per buoni espresso si acquisisce in anni di sforzi. Quindi questo atteggiamento di maggiore prudenza nell’acquisto sarà utile a rendere l’offerta migliore perché premierà chi produce bene.

Qualcuno potrebbe obiettare che il consumatore si butterà sul caffè porzionato, sull’espresso casa in cialda o capsula. I consumi al bar sono in calo ed è chiaro che c’è una certa migrazione verso la cialda. Ma anche in questo caso non sono convinto che il fenomeno si spieghi esclusivamente su basi economiche. Siamo di nuovo alla qualità: se il caffè al bar è cattivo, preferisco farmelo a casa o in ufficio. In questo c’è anche una componente di autogratificazione di sapersi regalare da soli un caffè che si considera di qualità, mentre il barista ci avrebbe rifilato una ciofeca. Che la cialda o la capsula siano soprattutto dei momenti di gratificazione è dimostrato anche dal design delle macchine, così belle da potere essere un vanto con gli amici. Intorno al caffè porzionato c’è quindi un immaginario le cui radici affondano in minima parte nella razionalità dell’economia e in massima nella voglia di status.

Siamo positivi, di moneta ne gira ancora. Però per riportare la gente nei bar dobbiamo convincerla che ne vale davvero la pena. Dobbiamo ricostruire l’immaginario dell’espresso e del cappuccino, lavorare sulla qualità e condividerla, direi soprattutto emotivamente, con il consumatore. Caffè buono, macchine perfette e baristi professionali: è la filosofia che l’Istituto Nazionale Espresso Italiano sta portando avanti da una decina di anni. Entrare al bar deve tornare a essere prima di tutto un’esperienza emotivamente e sensorialmente coinvolgente. Lavoriamo in questa direzione: soffriremo meno la crisi e getteremo basi realmente solide per il futuro.
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Crisi, l'invito di Confindustria "Tempo di cambiare marcia"

La presidente Emma Marcegaglia spiega: "Rimanere fermi e legati al passato non va bene. Il peggio è alle spalle, ma le scelte che si faranno in questi mesi saranno determinanti"

Fiumicino, 24 novembre 2009 - "È arrivato il momento di cambiare marcia tutti insieme, serve uno sforzo corale di tutto il Paese". È il messaggio lanciato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia dall’Assemblea annuale della Uir. "Bisogna - ha aggiunto - proiettare e progettare il nostro futuro, è la nostra priorità".


Secondo la leader degli industriali, "rimanere fermi e legati al passato non va bene perchè rischiamo di condannarci a una crescita troppo bassa. Stare fermi in una logica di inerzia non è una soluzione per il Paese".


Marcegaglia ha ribadito che "siamo in una fase nuova della crisi, non è finita il peggio è alle spalle anche se la visibilità è limitata. Entriamo in un fase altrettanto complicata e difficile: le scelte che si faranno in questi mesi saranno infatti determinanti". O per riprendere a crescere di più rispetto ai livelli precrisi o per «andare in una direzione di crescita troppo bassa e inferiore". "Non vogliamo vedere conflitti - ha continuato - deve prevalere il senso dell’interesse comune".


La presidente di Confindustria ha indicato alcuni interventi da attuare nella politica economica: "Ci sono due situazioni da gestire, una di breve termine e una di medio termine". Parlando del breve termine, Marcegaglia ha spiegato che "pur mantenendo una politica di rigore ci sono alcune cose da fare. Innanzitutto sul tema del credito bisogna continuare a lavorare su alcuni strumenti messi in campo come la moratoria. Dai primi dati emerge che l’80% dei nostri iscritti la ritiene utile e il 35% ne ha avviato richiesta".


La numero uno di Confindustria chiede una revisione di Basilea II: "Non chiediamo la cancellazione - ha detto - ma di rendere più morbidi almeno per un certo periodo alcuni parametri". Poi bisogna continuare a lavorare sul fondo di garanzia: "uno strumento molto utile che può essere usato anche per garantire alcuni aumenti di capitale". Marcegaglia ha poi chiesto la decontribuzione del salario di secondo livello, il bonus per la capitalizzazione delle imprese e «una scelta forte» sul tema della ricerca.


Poi c’è il tema dei crediti della pubblica amministrazione: "È un problema molto serio - ha detto - e chiediamo al ministro Tremonti di lavorare insieme a noi per cominciare il pagamento in modo graduale, magari a rate".



La presidente di Confindustria ha quindi messo in evidenza che c’è un "pezzo" delle imprese che necessita di aggregarsi: "Stiamo lavorando con il ministro per arrivare ad un fondo per le imprese, un fondo per la capitalizzazione, c’è un lavoro in corso ed è importante che nel più breve tempo possibile si arrivi ad una soluzione". Quanto agli interventi di medio termine, Marcegaglia è tornata a chiedere una riduzione della spesa pubblica corrente e improduttiva che "cresce e mangia risorse che noi dobbiamo investire in ricerca, innovazione, infrastrutture e fondi per ricapitalizzazione".

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Disoccupazione in Europa, è record Ai massimi dal gennaio del 1999

Cresce ancora il tasso di disoccupazione nei Paesi dell'area dell'euro: in settembre è stato del 9,7% contro il 9,6% di agosto e il 7,7% di un anno fa. Lo rende noto Eurostat, sottolineando che si tratta del tasso più elevato dal gennaio del 1999. Nell'Ue-27 il tasso è stato del 9,2% contro il 9,1% di agosto e il 7,1% di un anno fa. In questo caso di tratta del tasso più elevato dal gennaio 2000. Secondo le stime Eurostat, in settembre i disoccupati nell'Ue erano 22,123 milioni di cui 15,324 milioni nella zona dell'euro.

FMI - I dati non certo confortanti vengono confermati anche da Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale. Che, intervenendo al Festival internazionale del Lavoro a Rocca di Papa ha spiegato: «Abbiamo davanti a noi ancora 12 mesi di crescita della disoccupazione». «Ci sono buone notizie ma la crisi non è finita. Dobbiamo iniziare a parlare di una strategia di uscita ma non è ancora il momento di implementarla», ha aggiunto il numero uno del Fondo Monetario internazionale. Secondo Strauss-Kahn l'attivazione di una «exit-strategy dovrà venire solo dopo che si è toccato un picco dell'aumento della disoccupazione».

I DATI - Tornando ai dati sulla disoccupazione, va sottolineato che in rapporto ad agosto, in settembre il numero dei disoccupati è cresciuto di 286 mila unità nell'Ue-27 e di 184 mila in Eurolandia. Rispetto ad un anno fa, invece, l'aumento è stato di 5,011 milioni nell'Ue e di 3,204 milioni nella zona dell'euro. Tra gli Stati membri, il tasso più basso di disoccupazione è quello registrato nei Paesi Bassi (3,6%) e in Austria (4,8%), mentre quello più alto è ancora quello della Lettonia (19,7%) e della Spagna (19,3%). Per l'Italia (che ha dati trimestrali) Eurostat riporta il dato a giugno pari al 7,4%. Su base annua, tutti i Paesi Ue hanno visto un aumento della disoccupazione. Il tasso più basso di crescita è stato rilevato in Germania (dal 7,1% al 7,6%) e in Italia (dal 6,8% al 7,4% tra i due trimestri del 2008 e del 2009); i più significativi aumenti sono invece quelli di Lettonia (da 8,1% a 19,7%) e dell'Estonia (dal 4,1% al 13,3%). Per quanto riguarda i giovani, il tasso di disoccupazione di coloro che hanno meno di 25 anni, è stato in settembre del 20,1% nella zona dell'euro e del 20,2% nell'Unione europea. Un anno fa era stato invece rispettivamente del 15,7% e del 15,8%.

INFLAZIONE IN ITALIA - Nel nostro Paese torna a crescere anche l'inflazione. A ottobre, rileva l'Istat nella stima provvisoria, il tasso annuo è salito dello 0,3% (a settembre +0,2%), mentre i prezzi, su base mensile, sono cresciuti dello 0,1%, mentre a settembre erano in calo dello 0,2%.

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La generazione "lavoro zero"

Disoccupati, disoccupati, disoccupati. La Grande Crisi ci sta scaricando una valanga di senza lavoro, più giovani che vecchi. Molti di più di quel milione che lasciò sul terreno la recessione del 1993. Il mercato finanziario globale si sta ricomponendo, qua e là ci sono segnali di ripresa della produzione e pallidi risvegli dei consumi, rimbalzi davvero tecnici, con tutti i governi che, infatti, non possono ancora mollare le politiche di stimolo all’economia. Ed è così che questa si sta trasformando nella crisi del lavoro, non solo negli Stati Uniti con i suoi 15 milioni di disoccupati. Anche in Italia, dove dal terzo trimestre del 2008 ad oggi sono andati in fumo più di 560 mila posti di lavoro soprattutto tra gli "under 40", dove nei primi nove mesi dell’anno è stato presentato oltre un milione e mezzo di domande per accedere all’indennità di disoccupazione e circa 60 mila per quella di mobilità, dove il ricorso alla cassa integrazione è esploso con aumenti nell’ordine del 3400 per cento e più, a seconda del settore produttivo, e dove, infine, il tasso di disoccupazione complessivo è salito al 7,4 per cento, e quello giovanile dal 18 al 25 per cento.
Non è solo il classico effetto ritardato del recupero dell’occupazione rispetto a quello della produzione, studiato e previsto dagli economisti. Questa volta c’è di più, perché stiamo vivendo la prima recessione nel mercato del lavoro dualistico: da una parte i lavoratori standard, tendenzialmente protetti da un sistema di ammortizzatori sociali ideati in pieno Novecento, ritagliati sul lavoratore maschio della grande impresa del nord industriale; dall’altra gli atipici, giovani, flessibili, precari, praticamente senza tutele, figli dell’apartheid contrattuale, quelli, insomma, della generazione paraoccupata o "zero lavoro", poco rappresentata e assai poco visibile. La crisi sta colpendo gli uni e gli altri, imbriglia i primi nell’illusione della cassa integrazione presa a dosi massicce, collocandoli ancora tutti tra le file degli occupati per quanto a orario ridotto se non azzerato; abbandona i secondi, tagliando forse definitivamente la prospettiva dell’ingresso nella cittadella, un tempo, degli insiders. È una silenziosa mutazione quella che sta avvenendo nel mercato del lavoro. I "vecchi" occupano le fabbriche con le ciminiere spente, i giovani si ripiegano, licenziati a riflettori spenti.
Era dal 1995 che la quota di lavoratori dipendenti non diminuiva più nelle indagini trimestrali dell’Istat. Dopo quasi quindici anni proprio quelli coincidenti con l’impetuosa cavalcata del lavoro flessibile, spinto dal pacchetto Treu e poi ancor più dalla legge Biagi è riaccaduto nel secondo trimestre del 2009: 0,3 per cento su base annua, pari a 168 mila posti di lavoro cancellati. È successo spiega il Cnel nel suo "Notiziario sul Mercato del lavoro" perché la moderata crescita dell’occupazione permanente (+ 0,9 per cento) non è riuscita a compensare il tracollo dei contratti a tempo determinato: 8,3 per cento pari a una perdita di 191 mila posti. E qui c’è un aspetto tipicamente italiano della crisi del lavoro: com’ era facile prevedere le aziende hanno cominciato a tagliare i livelli occupazionali non rinnovando i contratti a tempo una volta scaduti. I segnali si erano già visti alla fine del 2008, ai primi effetti dello tsunami finanziario globale sull’economia reale. Ora quei segnali si stanno consolidando.
E sono stati i giovani i primi ad essere espulsi dal mercato, dal momento che oltre il 75 per cento dei contratti a tempo determinato riguarda la fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Per questa via sta progressivamente calando la quota di lavoro a tempo determinato sul totale dei dipendenti (un punto in meno in percentuale nel primo semestre del 2009 rispetto allo stesso periodo del 2008) e anche dato assai più preoccupante la percentuale di giovani (sempre tra i 15 e i 34 anni) sul mercato del lavoro attivo. Lo certifica l’Istat nel suo ultimo "Annuario statistico 2009", presentato venerdì scorso: nella classe più giovane, quella cioè tra i 15 e i 34 anni, l’occupazione registra nella media del 2008 una riduzione dell’1,8 per cento (pari a 127 mila posti cancellati). I giovani da noi sono paraoccupati o senza lavoro. Il tasso di occupazione (indice molto più significativo del tasso di disoccupazione) tra la popolazione giovane rimane lontano dalla media europea: abbiamo il 58,7 per cento contro un tasso medio Ue del 65,9 per cento, e non si può dire che abbiamo i migliori processi formativi. Fa impressione constatare che questo divario si sia allargato proprio nell’ultimo ventennio, quello che coincide anche con la nostra flessibilizzazione del mercato del lavoro, che avrebbe dovuto dare spinta e nuove opportunità all’occupazione. Perché fino alla fine degli anni Ottanta, come dimostra nel suo recente pamphlet il demografo Masimo Livi Bacci, "Avanti giovani, alla riscossa" (Il Mulino), la partecipazione al lavoro dei maschi e le femmine italiane di età compresa tra i 20 e i 24 anni era simile a quella dei loro coetanei francesi, tedeschi e spagnoli. Ora è più bassa di 1020 punti. Un’enormità, «una perdita netta per la società», come ha scritto lo stesso Livi Bacci. Un fenomeno che incide direttamente pure sui nostri bassi tassi di natalità.
La crisi ha tagliato quasi il 10 per cento dei contratti a tempo determinato, oltre il 12 per cento dei contratti di collaborazione (co. co. pro), centinaia di migliaia di false "partite Iva" o presunto lavoro autonomo. Ha tagliato il lavoro (precario) dei più giovani. Gli economisti Tito Boeri e Vincenzo Galasso ("Contro i giovani", Mondadori), d’altra parte, hanno calcolato che chi ha tra i 16 e i 24 anni ha oggi un rischio di disoccupazione quattro volte più alto di chi ha superato i 30 anni. Oltre a guadagnare decisamente di meno rispetto ai lavoratori maturi.
Così sono proprio i giovani ad aver ingrossato le file dei disoccupati, cioè di coloro che senza un impiego lo stanno concretamente cercando. Nel primo semestre del 2009 ultimi dati dell’Istat, perché i prossimi arriveranno tra poco meno di un mese i disoccupati italiani sfiorano i due milioni di unità (1 milione 912 mila). Con un aumento di 179 mila persone, pari ad un incremento del 10,3 per cento rispetto al medesimo periodo del 2008. E dall’analisi effettuata dal Cnel emerge che ben 100 mila, cioè più della metà, dei nuovi disoccupati sono persone con un’età inferiore ai 35 anni. Quindi: prima giovani precari, poi giovani disoccupati. Mai lavoratori a tempo pieno e indeterminato. Un tragitto segnato.
Nel complesso sono cresciuti di più gli uomini disoccupati (147 mila, + 17,7 per cento) rispetto alle donne (32 mila, + 3,6 per cento). Ma è di rilievo osservare che i disoccupati sono aumentati in tutte le aree tranne che nel Mezzogiorno dove ormai prevale l’effetto scoraggiamento: non si cerca più il lavoro perché si è delusi dagli scarsi risultati ottenuti. Ci si butta, molto probabilmente, nel nero. È riemerso in questi mesi il fenomeno dell’inattività che, per così dire, "inquina" il dato relativo a un incremento moderato del nostro tasso di disoccupazione (dal 6,8 al 7,4 per cento). Certo si può dire (come fa più di un ministro) che questo tasso è assai più basso di quello spagnolo, per esempio, che si avvicina al 20 per cento, però bisognerebbe anche dire che nei primi sei mesi di quest’anno sono 492 mila le persone (+ 1,9 per cento rispetto all’anno prima) che si sono scoraggiate, hanno deciso di non cercare più lavoro, si sono rese invisibili, scomparendo dai radar delle rilevazioni statistiche. Più donne che uomini, in questo caso.
Visti più da vicino i dati dell’Istat raccontano del mutamento in atto nel mercato del lavoro, del suo paradossale invecchiamento proprio in una fase di crisi. Che, questa volta, non risparmia quasi nessun settore. Perché dopo un decennio di crescita continua anche il terziario, trasformatosi in una sorta di areatampone dell’emorragia di posti persi nell’industria, ha cominciato a ridurre l’occupazione nei servizi alle imprese, nelle comunicazioni, nel commercio: 0,8 per cento nel complesso rispetto alla prima metà del 2008. Eppure, quasi disegnando un percorso lineare in un paese per vecchi, c’è un comparto che batte la crisi: è quello dei servizi alla persona. Qui si segna un incremento significativo, +7,8 per cento. Sono i nonni che hanno bisogno delle badanti straniere. E così i lavoratori non italiani sono quelli che aumentano.
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martedì 24 novembre 2009

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Tremonti: «Nel 2010 Pil all'1%»

Il ministro:«Partiamo dal -6%. Riforma fiscale entro la fine della legislatura». Marcegaglia: serve sforzo corale


Giulio Tremonti (Ansa)
ROMA - Nel 2010 il Pil italiano potrebbe risalire all'1%. Giulio Tremonti lo dice parlando all'assemblea degli industriali di Roma. «Può essere che chiudiamo il 2010 con un segno positivo del Pil, particolarmente positivo: 1% oppure di più di 1%» ha detto il ministro dell'Economia, evidenziando che «la cosa importante è che partiamo da un -6%». Il titolare di via via XX Settembre ha ricordato che nel 2008 il Pil è calato dell’1% e nel 2009 si ridurrà di circa il 5%. Ecco perché se il 2010 chiuderà con un segno positivo questo vuol dire che «si risale dopo aver perso il 6% in due anni».

RIFORMA FISCALE - «Faremo una riforma fiscale ma in una prospettiva lunga e nel rispetto dei vincoli di bilancio» ha poi annunciato Tremonti. «Ne ho iniziato a parlare con il presidente del Consiglio e continuerò a farlo. La faremo al termine della legislatura e sarà rivolta al lavoro e alla famiglia».




MARCEGAGLIA: «SERVE UNO SFORZO CORALE» - Di fronte alla crisi serve uno sforzo corale. Lo chiede il presidente di Confindustria. «Chiedo al ministro Tremonti - dice Emma Marcegaglia - di aprire un dibattito serio e non demagogico sulla riduzione della spesa pubblica corrente improduttiva per investire quelle risorse in infrastrutture e ricerca per far ripartire il paese». Il presidente di Confindustria, nel corso dell'assemblea degli imprenditori romani, ha precisato che si tratta di «una richiesta nel medio termine, non da fare ora in finanziaria».
Marcegaglia ha poi definito "inutile" la contrapposizione tra il partito del rigore e e quello della spesa. «Confindustria non è nè del partito del rigore nè di quello della spesa. Si iscrive al partito che vuole progettare il futuro del paese. Il Paese ha ritrovato la capacità di fare rigore nei conti pubblici ed è positivo. Ora serve anche capacità di fare sviluppo». A Tremonti Confindustria chiede quindi, nel medio termine, "una riflessione sulla spesa improduttiva", individuando "non per questa Finanziaria" le aree dove tagliare per reperire risorse.
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domenica 22 novembre 2009

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OPERAI ADELCHI PROVANO A “FARE LE SCARPE” ALLA CRISI

Alcuni lavoratori dell’ex calzaturificio stanno maturando l’idea di aprire un’impresa che permetta di uscire dall’empasse cassa integrazione. La Capone, pronta a parlarne e a sostenere l’iniziativaTRICASE - Un tentativo di sfidare la crisi, mettendosi in proprio, con idee e gesti concreti, per superare l’empasse di questi mesi, segnati dalla cassa integrazione. Il progetto ambizioso nasce tra alcuni operai dell’ex calzaturificio Adelchi di Tricase, evidentemente stanchi di attendere dagli altri risposte sul proprio futuro, e pronti a lanciarsi nella sfida di mettersi in proprio, con un’impresa da loro gestita, per “fare le scarpe” (è il caso di dirlo) alla crisi e ai cattivi pensieri.

E la vicepresidente della Regione Puglia, Loredana Capone, informata da questo risvolto, e dell’intenzione degli operai di uscire dalla “trappola” della cassa integrazione che ne sta svilendo la capacità lavorativa, dimostra la propria disponibilità ad incontrare i lavoratori e a sostenre ogni lotro iniziativa: “Chi decide di fare impresa vuole ‘sfidare’ la crisi – afferma - , mettendo in campo buone idee per penetrare nel mercato. Stiamo parlando infatti di operai che, dopo anni e anni di lavoro nel settore, hanno acquisito un’alta professionalità e capacità che non vanno abbandonate ma, anzi, valorizzate e utilizzate al meglio. È da questo presupposto che bisogna ripartire puntando sulla qualità del prodotto, come gli stessi lavoratori hanno sempre sostenuto”.

La Capone ritiene “molto utile”, ma “sicuramente difficile” questa svolta, perché “fare impresa richiede lo studio del mercato e la valutazione ottimale delle proprie attitudini e dei propri soci”: “Mi dicono – sostiene - che vogliono anche aprirsi a collaborazioni e partnership con imprenditori di altre aree del paese. Anche questa è una cosa estremamente utile. Dalle idee però bisogna passare a gesti concreti, per questo io voglio incontrare i dipendenti, vedere con loro le opportunità che si stanno prefiggendo e costruire con loro una opportunità di sviluppo di questa idea. Anche la task force della Regione potrà aiutarli, se loro ritengono, insieme a Confindustria, come siamo soliti fare quando ci sono delle iniziative complesse che si vogliono mettere in campo”. “Mi fa piacere – conclude la Capone - che anche il presidente Montinari abbia dato la sua disponibilità e penso che un incontro, da fare il prima possibile, potrà chiarire meglio le idee sul possibile nuovo punto di partenza”.
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sabato 21 novembre 2009

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Viaggi: dove porta il risparmio?

Viaggiare con la valuta in poppa conviene! Stando ad una recente indagine di HPI (Hotel Price Index) il momento è propizio per visitare l'affascinante Capitale inglese, dove i prezzi degli alberghi, nei primi sei mesi del 2009, hanno registrato un calo del 21% rispetto lo stesso periodo nel 2008...o perché no il Sud America, dove i prezzi degli hotel sono scesi drasticamente.

Viaggi in tempo di crisi

Il low cost sembrerebbe coniugarsi bene con il recente periodo di crisi, soprattutto in fatto di viaggi. Il costo dei soggiorni nella prima metà di quest'anno ha infatti subito una riduzione del 17% a livello mondiale e del 16% a livello europeo, sostiene l'indagine. Di fatto viaggiare non è mai stato così conveniente, grazie alla riduzione generalizzata delle tariffe alberghiere, nata dall'esigenza di mantenere lo stesso livello di occupazione delle stanze e attrarre sia viaggiatori leisure che business, e grazie alla contrazione dei costi per i voli aerei che si è verificata in questi mesi.

Stando ai dati rilevati infatti il costo medio di una camera a notte è diminuito di più di un sesto nei primi sei mesi di quest'anno rispetto allo stesso periodo del 2008 raggiungendo livelli di costo simili a quelli esistenti nel gennaio 2004.

Mete low cost...

Particolarmente fortunati i viaggiatori che sceglieranno come destinazione l'America Latina, che ha registrato diminuzione dei prezzi nell'ordine del 18% rispetto allo scorso anno, seguita dal Nord America e dall'Asia, in cui sono scesi in proporzione leggermente inferiore, -17%, nel lasso di tempo di 12 mesi. Solamente le tariffe alberghiere della regione caraibica hanno registrato un calo ridotto, del 2%.

Non è da meno il Vecchio Continente, dove le tariffe alberghiere sono calate, a un ritmo via via più sostenuto con il peggioramento della crisi finanziaria: nel quarto trimestre 2008 le tariffe erano diminuite del 10%, nel primo trimestre 2009 del 15% e nel secondo trimestre 2009 del 16%.
In particolare sette Paesi europei - Inghilterra, Irlanda, Norvegia, Austria, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca - hanno visto una diminuzione dei prezzi di oltre il 20% confrontando il primo semestre del 2008 con il primo semestre del 2009. A guidare la tendenza al ribasso dei prezzi troviamo l'Irlanda, dove il costo delle camere si è abbassato in media del 26%, seguita dalla Spagna con Barcellona (-27% rispetto all'anno scorso.

...e mete "high cost"

La crisi però non si è fatta sentire allo stesso modo in tutto il mondo! Nonostante le previsioni infatti ci sono delle mete che hanno registrato un aumento dei prezzi medi degli alloggi come nel caso delle gettonatissime Rio de Janeiro (+17%), Gerusalemme (+8%) e Istanbul (+1%).

Tornando in Europa invece la meta che si conferma la più costosa è la vicina Svizzera, che, nonostante la caduta del 12% rispetto all'anno scorso, propone una media di prezzi di €139 a notte (era €158 nello stesso periodo del 2008). L'Italia è il quarto Paese più caro dopo Svizzera, Danimarca e Norvegia. Il costo medio di una camera da gennaio a giugno 2009 è stato di 106 euro, -12% rispetto allo stesso periodo del 2008. La Francia e la Grecia sono state le uniche due destinazioni in Europa in cui i prezzi sono scesi meno del 10%.

Montecarlo, in questi primi sei mesi dell'anno, è stata la città più cara d'Europa, con un costo medio per camera di 178 euro a notte (l'anno scorso era di 193 euro, - 8%). Ginevra, che nello stesso periodo l'anno scorso era prima in classifica, quest'anno si trova al secondo posto a causa di un decremento dei prezzi del 12%. Ora sono necessari 171 euro per soggiornare in una camera in città. Al terzo posto troviamo Venezia che con 138 euro in media per camera a notte è la terza città più costosa d'Europa.



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venerdì 20 novembre 2009

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L'Alcoa annuncia la chiusura operai occupano lo stabilimento

CAGLIARI - Si fermano due degli stabilimenti italiani dell'Alcoa, il gigante Usa dell'alluminio, e gli operai occupano gli impianti. L'azienda ha decretato lo stop della produzione primaria a Portovesme, nel Sulcis Iglesiente, e a Fusina (Venezia) dopo la decisione della Commissione Europea che ha chiesto la restituzione degli aiuti ricevuti sul prezzo dell'elettricità. La chiusura di Fusina sarebbe immediata, mentre quella di Portovesme sarebbe probabilmente fissata per la fine del 2010, fanno sapere alcuni rappresentanti sindacali. L'azienda dà lavoro a 2.500 persone in Italia. Nella chiusura dei due stabilimenti sono coinvolte 1000 dipendenti diretti e 1000 lavoratori dell'indotto.

La multinazionale ha annunciato solo la sospensione "temporanea" della produzione, non la chiusura, nei due stabilimenti in Italia annunciando di voler fare ricorso. Dopo l'incontro, oggi, al ministero dello Sviluppo economico, l'azienda ha ribadito che "interruzioni temporanee degli impianti potrebbero determinarsi dopo un processo di consultazione che potrà durare fino alla seconda metà di dicembre". Per l'amministratore delegato Giuseppe Toia, "se Alcoa potrà ottenere un contratto di fornitura di energia elettrica a prezzi competitivi, questa interruzione sarà immediatamente sospesa".

Per gli operai è stata una giornata di attesa. Dopo l'occupazione degli impianti decisa stamani, i dipendenti dell'Alcoa, al termine dell'assemblea, hanno tolto il blocco ai cancelli della fabbrica ma alcuni di loro resteranno all'interno dello stabilimento anche per la notte, in attesa dell'incontro di domani mattina con i sindaci della zona per organizzare nuove forme di protesta. Stamane i lavoratori di Portovesme avevano "sequestrato" la sede dello stabilimento, imponendo al direttore della fabbrica Marco Guerrini, al vicedirettore Sergio Vittori e agli altri dirigenti di assistere all'assemblea per avere "risposte immediate".

Una prima risposta è stata una sorta di moratoria per i prossimi 15 giorni. Lo annuncia Roberto Straullu, della Uil, che si trova nello stabilimento sardo: "Usciamo ora da un incontro con la direzione dello stabilimento, ci siamo spostati dalla sala delle assemblee. Resta lo stato di agitazione e la produzione continua, ma abbiamo raggiunto l'ipotesi di un percorso in cui non sarà messa in atto nessuna azione negativa per i prossimi 15 giorni, l'azienda ha siglato un impegno scritto". Anche a Marghera 250 operai metalmeccanici dell'Alcoa sono scesi in strada a bloccare parzialmente per un paio d'ore la viabilità industriale.

La sospensione della produzione è stata decisa per "le incertezze sulla fornitura di elettricità per i suoi forni di fusione a tariffe competitive e per l'impatto finanziario della decisione della Commissione Europea", si legge nel comunicato di Alcoa.

La Commissione ha chiesto ieri al produttore di alluminio di rimborsare le sovvenzioni avute dal 2006 sui prezzi dell'elettricità in Italia, sostenendo che si tratta di aiuti pubblici illegali. L'ammontare degli aiuti da rimborsare non è stato divulgato, ma secondo fonti sindacali citati dai media italiani, si eleverebbe a 270 milioni di euro.

La produzione di alluminio richiede un forte consumo di energia: Alcoa aveva concluso con il fornitore di elettricità italiano, l'Enel, un contratto che gli assicurava tariffe fisse per una durata di dieci anni, fino al dicembre del 2005. La Commissione Europea aveva all'epoca autorizzato ciò che aveva assimilato a una "operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni del mercato".

Dal 2006, però, Alcoa ha continuato a beneficiare di tariffe privilegiate, ma secondo un diverso dispositivo: continua ad acquistare la sua elettricità dall'Enel, ma è lo stato italiano che gli rimborsa la differenza con la tariffa storica, ciò che Bruxelles considera come "un aiuto pubblico illegale". "La tariffe è in vigore da oltre dieci anni in italia e è stata approvata dalla commissione nel 1995, l'anno in cui Alcoa ha acquistato le infrastrutture" si difende il gruppo.

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"Ferrovie in utile, senza aiuti statali"

Sorpresa, le Ferrovie dello Stato hanno i conti in ordine. Chiuderanno il 2009 con qualche decina di milioni di euro di utile. «La novità è che abbiamo raggiunto una redditività stabile dice l’amministratore delegato Mauro Moretti guadagniamo senza aiuti pubblici e senza il concorso di partite straordinarie». Parte anche una nuova stagione di investimenti, 2 miliardi per il trasporto locale e 1 miliardo e mezzo per l’alta velocità: «Entro il mese la gara per un treno veloce di ultimissima generazione, con architettura italiana, e ci auguriamo che le imprese nazionali sappiano farsi valere».I conti sono a posto, è il momento dello scorporo della parte "a mercato"?
«Lo scorporo della parte commerciale non è ancora una ipotesi, per il momento è soltanto un’idea».
Quella di separare la parte buona, cioè redditizia, da quella che perde?
«Quello che qualcuno ha detto, parlando di ‘bad company’ e di good company’ non è corretto, per due ragioni: la prima è che le Ferrovie dello Stato hanno l’obiettivo di non perdere in alcun settore di business e quindi non ci sarebbe nessuna ‘bad company’; la seconda è che la motivazione dell’eventuale scorporo è avere uno strumento agile per competere ad armi pari sul mercato nazionale e su quelli esteri».
Oggi non competete ad armi pari?
«No, e le faccio un esempio: una società privata che ha un problema con chi le fa le pulizie ci mette mezz’ora a cambiare il fornitore del servizio, noi stiamo combattendo da 18 mesi ed abbiamo dovuto vincere, fino ad oggi, ben 41 ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato».
Se lo scorporo consente di operare meglio e di essere più competitivi allora perché non lo fate?
«Perché prima dobbiamo finire di mettere a posto i conti di Trenitalia, che si porta dietro un debito pregresso di sei miliardi e il cui bilancio è molto migliorato rispetto al passato ma ancora quest’anno chiuderà con qualche decina di milioni di perdita».
Cosa state facendo?
«Innanzitutto abbiamo avviato un aumento del capitale, effettuato con il trasferimento di asset del gruppo, che progressivamente passerà dal miliardo attuale a 2,5 miliardi, migliorando così sostanzialmente il rapporto tra capitale e debito. Da tre anni poi, cioè da quando sono qui, stiamo lavorando sui costi, sulla produttività, che oggi è la più alta d’Europa, e sull’efficienza».
Cos’è che ancora non va?
«Da fare c’è ancora molto, ci sono ancora spazi per aumentare efficienza e produttività e soprattutto per aumentare l’efficacia dell’offerta».
Cosa vuol dire?
«Noi siamo un’azienda di servizi che non fa magazzino, quindi se offriamo posti dove o quando non c’è una domanda adeguata è uno spreco, così come è uno spreco lasciare la domanda insoddisfatta. Stiamo affinando sempre di più l’offerta per evitare questi sprechi».
I numeri cosa dicono?
«Che la crisi ha pesato, ma solo sulle merci che hanno avuto un crollo del 2829 per cento, in linea con il resto d’Europa. La caduta delle merci però nei primi nove mesi è stata compensata dall’aumento delle entrate per il servizio passeggeri, soprattutto nell’area "a mercato" quella cioè non intermediata dallo stato e dalle regioni, l’Alta Velocità per intenderci, con il risultato che a fine settembre il fatturato è stato pari a quello dei primi nove mesi dell’anno precedente».
E i risultati economici?
«Il gruppo Fs chiuderà l’anno in utile. In tre anni, dal 2006 al 2008 siamo passati da un margine operativo lordo negativo per 650 milioni a uno positivo di un miliardo e 35 milioni, nel 2009 abbiamo consolidato quel processo e ora, questa è la novità, Fs è in grado di produrre una redditività stabile, che non è frutto cioè di partite straordinarie».
Le sovvenzioni pubbliche quanto hanno contribuito a questo risanamento?
«Non hanno contribuito. Il margine operativo è stato ricostruito per 800 milioni con l’aumento della produttività e per 700 con l’aumento degli incassi. Aggiungo che le Fs non ricevono sovvenzioni dallo stato né da nessun altro: lo stato finanzia gli investimenti in infrastrutture e acquista servizi. Mi spiega perché quando lo stato paga la bolletta elettrica per i suoi uffici si dice che acquista un servizio e quando paga un treno per il servizio universale invece si pensa ad una sovvenzione?»
Passiamo al capitolo dolente, i pendolari. Il servizio continua a non funzionare.
«Abbiamo fatto un passo avanti importante, finalmente abbiamo stipulato con tutte le regioni , tranne il Piemonte che ha preferito procedere con una gara, dei contratti sulla base di un catalogo uguale per tutti. Si tratta quindi di contratti trasparenti che fissano analiticamente costi e prestazioni, che includono gli ammortamenti del materiale rotabile, che hanno consentito alle regioni, valutando le risorse delle quali dispongono, di decidere la qualità e l’età del materiale rotabile. E poi, cosa fondamentale, lo stato ha stabilito che il contratto è di sei anni rinnovabile per altri sei».
E’ una decisione che ha sollevato numerose critiche.
«Ingenerose. Con il contratto annuale non è possibile programmare nulla, un contratto di sei anni noi possiamo invece scontarlo e così finanziare l’investimento in nuovo materiale rotabile a vantaggio delle regioni e soprattutto dei loro pendolari».
Alla gara della regione Piemonte vi presenterete?
«Presenteremo una offerta di partecipazione, quando saranno note le condizioni decideremo per l’offerta. Quello che non faremo più è ciò che ha portato in passato le Fs sull’orlo del fallimento, ovvero lavorare sotto costo».
E se doveste lasciare il Piemonte?
«Non sarà una tragedia, cederemo il personale ai nuovi entranti e i treni li porteremo in altre regioni ad attenuare la pressione che c’è intorno ai grandi centri urbani».
Adesso sta per concludersi la gara da due miliardi per i treni per i pendolari, quando vedremo i frutti?
«Per risolvere il problema del trasporto locale ci vogliono mille nuovi treni, il che richiederebbe un investimento di 6 miliardi. Dalle regioni e dallo stato ne abbiamo avuti due e abbiamo già comprato nuove locomotive, mercoledì chiudiamo la gara per i vagoni, che cominceranno ad arrivare entro 15 mesi. L’offerta progressivamente migliorerà e se saremo messi in grado di dare continuità agli investimenti, nel giro di qualche anno il problema dei pendolari potrà essere risolto».
Passiamo all’Alta Velocità, lei sostiene di non aver speso nulla.
«E’ così. Avevamo in casa una flotta importante di 59 treni della nuova serie ETR500, le cui locomotive sono tutte successive al 2000 e le cui carrozze hanno un’età media di 10 anni. Con l’arrivo degli ETR600 l’età media scenderà ancora. Quello che ho fatto è rifare gli interni, dotare i treni di nuovi sistemi di controllo automatico, ridisegnare la livrea, concentrare la flotta in alcune tratte e creare un brand, ‘Freccia Rossa’, che peraltro ha vinto a Londra un Global Award, un premio mondiale per il marketing».
Quanto vale oggi la parte "a mercato" sul totale fatturato dei passeggeri?
«Siamo vicini al 50 per cento del fatturato sulle lunghe percorrenze, ma con l’aumento dell’offerta del 30 per cento e migliorando come le dicevo all’inizio anche l’efficacia dell’offerta, la quota crescerà sensibilmente».
Dove arriverà la nuova offerta?
«Lanciamo la tratta tra la stazione Tiburtina a Roma e la stazione Rogoredo a Milano in 2 ore e 45 minuti; faremo RomaVerona in tre ore, grazie al fatto che abbiamo completato a settembre il rifacimento della BolognaVerona, dove potremo andare fino a 220 all’ora; attaccheremo Brescia, da dove si arriverà a Roma in 4 ore. A sud aumenteremo del 30 per cento la Freccia d’argento RomaBari e del 50 per cento la RomaLamezia. Dovunque aumenteremo l’offerta nelle ore serali».
Volete cannibalizzare l’aereo.
«In realtà quello che sta accadendo è che stiamo sempre più sostituendo l’auto, su tratte come NapoliRoma, RomaFirenze, BolognaMilano. E poi sta nascendo una nuova domanda, un pendolarismo di tipo nuovo che cambia le relazioni tra le città».
Resta da risolvere la questione della MilanoVeneziaTrieste.
«Abbiamo avuto le risorse per la TreviglioBrescia, dove speriamo di partire rapidamente per completarla in tempo per Expo 2015, e questo ci consente di sbloccare il primo collo di bottiglia. L’altro, tra Padova e Mestre, lo abbiamo già affrontato quadruplicando la linea, resta ora il problema di arrivare fino a Padova e poi la proiezione verso Trieste, dove stiamo lavorando per definire i tracciati. Siamo consapevoli che se oggi il traffico è prevalentemente NordSud, in prospettiva quella linea sarà molto importante».
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Finanziaria, tra scontrini "gratta e vinci" e "Robin Tax" per banche e petrolieri

Come recuperare nuove risorse per le esigenze rimaste fuori dalla Finanziaria? L’interrogativo si pone quasi tutti gli anni al momento del passaggio da un ramo all’altro del Parlamento, e non fa eccezione neanche un provvedimento snello come quello di questo autunno. Così tra le varie idee che fioriscono in vista del passaggio del testo alla Camera circola quella della trasformazione in “gratta e vinci” degli scontrini fiscali, e si parla anche di nuovi inasprimenti fiscali ai danni dei “cattivi” banchieri e petrolieri. Mentre il governo non rinuncia ad inserire nel “treno” della sessione di bilancio le norme che istituiscono la Banca del Mezzogiorno, messe da parte al Senato per problemi regolamentari.

Lo scontrino gratta e vinci è già una realtà in Cina, dove le autorità hanno pensato di coniugare in questo modo l’interesse della popolazione per i giochi con la necessità di aumentare il tasso di legalità. E a questa esperienza si richiama esplicitamente un progetto di legge presentato una ventina di giorni fa dal deputato del Pdl Giorgio Jannone (il quale ha fatto notare che all’aspetto tecnologico di questa iniziativa partecipano anche aziende italiane.

L’idea rientra nel filone del contrasto di interessi come strumento per combattere l’evasione fiscale: il vantaggio per chi chiede ai negozianti lo scontrino e lo conserva consisterebbe non nel poter detrarre dalle imposte una parte della spesa, ma nella speranza di aggiudicarsi i premi di una lotteria. Lo Stato a sua volta beneficerebbe delle maggiori entrate generate dalle transazioni legali.

Il progetto ha tuttavia il difetto di non produrre incassi immediati, semmai nel medio periodo. La scorsa primavera invece, per finanziare la ricostruzione dell’Abruzzo, era stato ideato un meccanismo un po’ diverso, che prevedeva la possibilità di investire in una lotteria istantanea il resto dato alle casse dei supermercati. In questo caso però lo stato avrebbe incassato direttamente qualcosa, dalle monetine dei resti; in ogni caso per il momento l’idea non è stata concretizzata.

E sempre a realizzare incassi immediati è finalizzata l’idea di inasprire i prelievi su banche e petrolieri, sulla scia delle varie Robin Tax volute a suo tempo dal ministro Tremonti. Per gli istituti di credito si tratterebbe di applicare un modello già messo a punto in Francia e in Belgio, che prevede il pagamento di una sorta di premio di assicurazione, a fonte dell’eventualità di ricevere aiuti dallo Stato in caso di grave crisi (come è effettivamente avvenuto nei mesi scorsi).

Per i petrolieri invece ci sarebbe allo studio una tassa “punitiva”, per colpire le società che non adeguano tempestivamente i propri listini al ribasso dei prezzi petroliferi. Un meccanismo tutto da definire, che incontrerebbe comunque difficoltà sia normative che applicative. Infine si parla anche di contributi sui processi per finanziare l’edilizia carceraria.
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L'Ocse: in Italia disoccupati in aumento Nel 2011 saliranno all'8,7%

ROMA (19 novembre) - La disoccupazione italiana salirà ancora e raggungerà l'8,5% nel 2010 e l'8,7% nel 2011: è quanto prevede l'Ocse nell'economic Outlook. l'Ocse nel suo economic outlook pubblicato oggi. Quest'anno, secondo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con base a Parigi, la quota dei senza lavoro passerà dal 6,8% al 7,6%.

Per quanto riguarda il pil si prevede in Italia un calo del 4,8% quest'anno per poi tornare a crescere dell'1,1% il prossimo e dell'1,5% nel 2011. Il debito pubblico italiano «salirà al 120% nel 2011» e il deficit resterà sopra il 5%.

In Italia, afferma l'Ocse, l'attività ha ripreso nel terzo trimestre, con il miglioramento delle condizioni finanziarie che ha «aiutato a ricostituire la fiducia e spingere la domanda interna». Ma secondo l'Organizzazione «sia il timing sia la forza della ripresa sono incerte».

L'Ocse infine sottolinea che lo scudo fiscale varato in Italia dovrà restare una misura eccezionale per evitare che i contribuenti possano concludere «che ulteriori amnistie fiscali sono probabili».
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Banche: 20 miliardi di perdite su crediti Ordini e fatturato in ripresa a settembre

ROMA (20 novembre) - Allarme di Corrado Faissola, presidente dell'Abi, l'Associazione bancaria italiana, sulla qualità del credito in Italia. Le perdite su crediti «a fine anno temo non saranno lontane dai 20 miliardi», rispetto ai circa 11 miliardi di euro dei primi nove mesi dell'anno, ha detto Faissola, intervenuto all'assemblea annuale dell'Aibe (l'Associazione delle banche estere in Italia).

«Non ci attendono mesi facili e di questo dobbiamo essere consapevoli», ha continuato Faissola. «Da molti mesi - ha aggiunto - il nostro sistema bancario sta registrando una crescita delle sofferenze. A settembre 2009 quelle lorde sono risultate pari a 55 miliardi di euro, in crescita del 25% su base annua e superiore al 3% in rapporto agli impieghi». Faissola ha poi aggiunto che «nel primo semestre del 2009 le rettifiche di valore nette per il deterioramento dei crediti sono state pari a oltre 9 miliardi». Un dato che si è ulteriormente aggravato nel terzo trimestre: «i dati preliminari dei primi nove mesi e relativi alle prime undici banche, parlano di oltre 11 miliardi».
«A fine anno - ha concluso - non saremo lontani dai 20 miliardi, traguardo che ovviamente ci auguriamo di non raggiungere».

Tornano a crescere ordini e fatturato dell'industria. A settembre su base mensile gli ordini sono cresciuti del 5,2% e il fatturato del 2,3%. Lo riferisce l'Istat. Si tratta dei dati più altirispettivamente da gennaio e da giugno 2008. Su base tendenziale gli indici invece segnano ancora un forte segno meno: il calo è del 20,4% per gli ordini e del 17,3% per il fatturato.

Gli incrementi congiunturali si devono soprattutto alla componente estera: gli ordini registrano +7% (+4,2% per la parte nazionale); il fatturato +7,7% (+0,1% la nazionale).

Nel trimestre luglio-settembre, rispetto ai tre mesi precedenti, gli ordini sono scesi dello 0,6% e il fatturato dello 0,2%, trascinati dai cali di agosto. L'analisi per settore di attività economica evidenzia su base annua variazioni positive del fatturato si riscontrano per il setotre altre industrie manifatturiere, riparazione macchine e apparecchiature (+4,1%)e produzione di prodotti farmaceutici (+1,5%). IN calo invece metallurgia (-34%); prodotti petroliferi raffinati (-28,1%) e Fabbricazione macchinari (-22,6%).

Per gli ordinativi, l'unico incremento ha riguardato la produzione di prodotti farmaceutici (+4,9%); contrazioni marcate per Metallurgia (-29,3%); Fabbricazione di mezzi di trasporto (-24,7%) e Fabbricazione macchinari (-20%).
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mercoledì 18 novembre 2009

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PER LA CRISI I REGALI DI NATALE SARANNO AL RISPARMIO

Con le vetrine di molti negozi gia' addobbate di tutto punto, in Gran Bretagna e' gia' aria di Natale ma, a causa della crisi, la gente pensa gia' a come tirare la cinghia: previdenti come sempre nel preparare per tempo la lista dei regali, quest'anno gli . inglesi pensano soprattutto a risparmiare. Secondo un sondaggio della Broker Execution Ltd, i 2 mila cittadini campione interpellati in proposito hanno risposto che in media pensano di non spendere piu' di 328 sterline (365 euro) per i loro regali natalizi, ossia il 4 per cento in meno rispetto al 2008.

Per il 40 per cento, gli intervistati hanno detto che sui per i regali saranno piu' parsimoniosi dell'anno scorso, per il 10 per cento che lo saranno molto di piu' e per il 5 per cento che non ci saranno sostanziali differenze rispetto al Natale scorso. ''Il Natale del 2009 si preannuncia assai piu' magro di quello del 2008'', ha affermato l'analista dell'istituto, Caroline Gulliver commentando i risultati del sondaggio. ''Tuttavia - ha aggiunto - sappiamo per esperienza che man mano che Dicembre si avvicina la gente puo' cambiare idea e alla fine, magari, le cose non andranno poi cosi' male''
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martedì 17 novembre 2009

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Crisi - Babbo Natale manifestano in Piazza Gramsci

i Babbi Natale milanesi subiscano la crisi. L’appuntamento era per il 30 novembre in Piazza Gramsci. e l’appello è dato da un Babbo Natale eccezionale, Alessandro Haber
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All’appello hanno risposto numerosi Babbi Natale, che hanno dato vita ad una rumorosa manifestazione. Poi alla fine di tutto si scopre che c’è di mezzo un evento promozionale per una grossa azienda, ma chissenfrega, ci strappa un sorriso e ci offre un briciolo di spirito (umoristico) natalizio. Gratis, e non è poco.
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I dentisti chiedono aiuto: siamo in crisi

ROMA - Anche i dentisti piangono. Piangono perché nell’Italia della crisi le famiglie stringono la cinghia e i clienti calano: meno 35 per cento negli ultimi sei mesi. Piangono perché sono in aumento gli italiani che, pur di risparmiare, per un ponte o una protesi vanno in Ungheria o in Croazia. Piangono perché
. entro fine anno una direttiva aprirà le porte del nostro Paese ai dentisti dell’Europa a 25, Polonia compresa per farsi un’idea. Piangono, in realtà, perché il miraggio di quella che negli anni Novanta era considerata una professione d’oro (molti soldi/poco lavoro), ha attirato così tante persone che fare affari è ormai un’impresa. Almeno a sentire loro, che parlano di «sindrome della poltrona vuota».
Dice Roberto Callioni, presidente dell’Andi, l’Associazione nazionale dentisti italiani: «La crisi economica ha colpito il ceto medio e, di riflesso, è arrivata a noi: la coppia di impiegati con due figli, lo zoccolo duro della nostra clientela, a farsi curare non ci viene più». In realtà i problemi vengono da lontano. Già tra il 1999 e il 2002 i clienti erano diminuiti del 10 per cento. Allora l’economia tirava e di effetto euro non si parlava ancora. Cosa era successo? Semplicemente, i dentisti stavano diventando troppi. Se nel 1992 erano 22 mila oggi sono 53 mila, più del doppio. Abbiamo un dentista ogni 1.115 abitanti contro uno standard fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità, e rispettato in buona parte del mondo occidentale, di uno ogni 2 mila. «Negli anni Novanta - spiega il presidente dell’associazione dentisti - la nostra professione sembrava una miniera d’oro e tutti hanno cercato di salire sulla barca. E’ mancata una seria programmazione».
In realtà programmazione c’è stata ma, come dire, flessibile. I corsi di laurea per diventare dentista sono a numero chiuso: ogni anno possono entrare 900 studenti in tutta Italia ma fino a pochi anni fa erano ben sopra quota mille. E poi siamo pur sempre il Paese delle sanatorie: «Fino alla metà degli anni Ottanta - spiega Maurizio Troiani, segretario del sindacato odontotecnici - per fare il dentista bastava la laurea in medicina. Quando è stato creato il corso ad hoc, molti laureati hanno fatto ricorso, a questi si sono poi aggiunti quelli che non riuscivano a passare con il numero chiuso. E di tanto in tanto ci ha pensato la politica con una bella sanatoria elettorale». Si calcola che in questo modo siano entrate nella professione almeno 3 mila persone.
Ora i dentisti chiedono aiuto al governo. Oggi a Roma hanno organizzato il Dental day, un convegno in cui proporranno di alzare il tetto del 19 per cento per la somma che il paziente può scaricare dalle tasse. Ma alla parola tasse bisogna fermarsi un attimo. I dentisti sono stati sempre considerati tra i soggetti a maggior rischio evasione fiscale. Solo nel 1995 - quando i controlli si concentrarono su di loro - la Guardia di finanza scoprì 70 miliardi di lire non dichiarati. Secondo uno studio del Censis, il 15 per cento non rilascia ricevute, valore che sale al 27,7 per cento secondo l’Istituto di ricerche economiche e sociali. «Qualche evasore ci sarà - commenta il presidente dell’associazione dentisti - ma meno che nelle altre professioni visto che le nostre parcelle, a differenza di quelle di avvocati e commercialisti, sono in parte detraibili».
Carlo Rienzi - presidente dell’associazione dei consumatori Codacons - ha il coraggio di dire quello che molto si limitano a pensare: «La verità è che questi signori hanno due tariffari: uno senza ricevuta e con lo sconto, l’altro con ricevuta e a prezzo pieno. Considerando anche il sommerso non credo che la situazione sia così drammatica, ma era ora che la crisi colpisse anche loro. Speriamo che vengano a più miti consigli e abbassino prezzi. Vedranno come la gente tornerà da loro»
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La crisi finanziaria spiegata in 11 minuti

Non è facile spiegare ai non esperti come è nata la crisi finanziaria che ha colpito il mondo intero. Parole e concetti come mutui subprime, leveraging, collateralized debt obligations, credit default swaps – per fermarsi ai più frequenti - possono scoraggiare anche i più volenterosi. Per questo la divulgazione di quanto sta davvero accadendo in questa difficile fase è una sfida molto interessante. È stata raccolta da Jonatan Jervis che – come tesi finale all'Art Center College of Design – ha elaborato il video che presentiamo qui – The Crisis of Credit Visualized - un cartone animato molto curato e attento che cerca di spiegare tutto con parole e immagini molto semplici.

Il lavoro si concentra sulla prima fase della crisi, quella legata ai mutui subprime. Resta a un livello elementare, ma le relazioni fondamentali tra i fenomeni non solo sono mantenute, ma sono anche spiegate con efficacia. Se a qualcuno potrà forse apparire un po' scontato che il leveraging venga illustrato come una leva che "lancia" un sacchetto del denaro, a ben vedere si tratta di un passaggio necessario, anche per spiegare nascano certi concetti finanziari. Per gustarsi il video si guardi però alla fase in cui viene descritta la trasformazione dei mutui nelle collateralized debt obligations (Cdo) che è il pezzo forte del video.
I Cdo vengono descritti semplicemente come una scatola in cui vengono raccolti i mutui e che sono poi trasformati – dai maghi della finanza, ovviamente dotati di bacchetta magica - in tre serbatoi a cascata: in alto quello dei mutui sicuri, con rating AAA; poi quelli dei mutui ok, con rating BBB, e infine quelli dei mutui non sicuri, senza rating. Le rate dei mutui, sotto forma di latte, scendono nella prima scatola e solo quando raggiungono un certo livello cadono anche al serbatoio inferiore, e poi – con le stesse modalità – a quella inferiore. Quando invece il flusso di latte rallenta, solo il primo contenitore può essere parzialmente riempito.
Un'immagine semplice ed efficace: i tre serbatoi sono poi venduti separatamente a tre diversi investitori con diverse propensioni al rischio, e vivono di vita propria. Quando si passa ai mutui sub-prime per le famiglie meno responsabili – nel video, quelle con i genitori che fumano e tanti, troppi bambini – tutto questo diventa una bomba a orologeria che interrompe il ciclo di pagamenti che, dai mutuatari, va alle grandi istituzioni finanziarie.
Tutto è raccontato davvero con grande semplicità, sia pure a costo di grandi semplificazioni.
Una per tutte: l'impacchettamento delle obbligazioni strutturali legate ai mutui è più complessa, mescola in realtà strumenti sicuri con altri meno sicuri e i rating hanno creato in realtà una gran confusione che dal video non risulta. Il lavoro non permette quindi di capire il ruolo e, soprattutto, le polemiche contro le grandi agenzie di valutazioni del credito che sono rimbalzate nell'opinione pubblica.



C'è solo un accenno, poi, ai credit default swap, che nell'economia del lavoro potrebbero tranquillamente essere ignorati, quasi solo per fingere una completezza che invece non c'è.
Il vero difetto del video, però, è che si interrompe troppo presto. La sua efficacia nello spiegare quanto sta accadendo, in ogni caso è tale che sarebbe stato prezioso un lavoro più lungo, e un po' più articolato. Peccato.

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Marcia indietro sull'ADSL: i fondi arriveranno solo dopo la crisi

Il governo ha revocato gli 800milioni del piano per la diffusione a breve termine della banda larga. Il tutto a distanza di poche settimane dagli annunci più ambiziosi di Brunetta
. Qualche settimana fa il Ministro Brunetta aveva destato qualche scetticismo nel mondo della Rete, promettendo la banda larga per tutti entro il 2010. Tutti i dubbi presentati dal mondo dei blog, derivati da anni di annunci lasciati cadere dai governi di ogni colore, sembrano fondati. Puntuale come la fibra ottica, è arrivato l'annuncio del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, che ha revocato ogni promessa di fondi per la diffusione della connettività. Da mesi, infatti, il governo prometteva 800milioni di euro per la diffusione della banda larga, il cosiddetto "piano Romani". Il piano Romani era persino meno pretestuoso di quello di Brunetta: si parlava di 20Megabit di banda larga al 96% della popolazione entro il 2012. Secondo Letta questi fondi saranno forniti solo quando l'Italia uscirà dalla crisi economica. Eppure, proprio alcuni giorni fa, sia alla Smau sia allo Iab esperti del settore e personalità del mondo politico ci ricordavano che proprio la tecnologizzazione sarebbe stata l'antidoto perfetto alla crisi economica.

Nel 2009 ancora il 5% del territorio italiano è destinato ad affrontare un digital divide di lungo periodo: non ha accesso, cioè, a collegamenti Internet tanto affidabili da essere utili a livello professionale, educativo e culturale. La Lombardia è ancora considerata una regione a copertura intermedia, con una popolazione coperta tra il 92 e il 97%
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lunedì 16 novembre 2009

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Cgil e studenti in piazza, Epifani: pronti a sciopero, valanga licenziamenti in vista

ROMA (14 novembre) - Cgil in piazza a Roma per chiedere al governo risposte concrete contro la crisi. A sfilare in corteo da piazza della Repubblica a piazza del Popolo accanto al sindacato anche gli studenti universitari. Secondo Epifani la crisi non è ancora finita, e dal punto di vista del Pil «quello che ogg«quello che oggi fa l'Italia è esattamente quello che faceva sei anni fa e per risalire ai livelli dell'inizio del 2003 impiegheremo 6 o 7 anni». Ribatte Sacconi: la Cgil fa opposizione a prescindere. Per il leader del Pd è «l'ora della svolta».

«Se Cisl e Uil volessero fare uno sciopero generale sul fisco, la Cgil è pronta ed è in prima fila» ha detto il leader della Cgil, Guglielmo Epifani.

«La crisi avrà gli effetti più negativi sull'occupazione nelle prossime settimane» ha aggiunto Epifani che ha sottolineato come «il governo non stia facendo nulla per sostenere il lavoro e i pensionati».

«Valanga di licenziamenti in arrivo». «Oggi - ha detto Epifani - la valanga, che sta aumentando, non è fatta di cassa integrazione ma di mobilità, di ristrutturazioni e di persone che se ne vanno a casa senza avere un futuro». Epifani ha aggiunto che «la crisi non è ancora passata per i disoccupati, per i lavoratori, per i precari e per i pensionati. Per loro il peggio deve ancora arrivare». «Quando sento dire che il peggio è passato - ha proseguito - domando 'ma per chi?' Forse per coloro che investono nella Borsa, visto che dall'inizio dell'anno è aumentata del 100%». Insomma, per Epifani la recessione è oramai alle spalle solo per «chi ci ha portato nella crisi, gli speculatori».

Riguardo alla scomparsa dei fondi destinati ai giovani ricercatori dell'università, il leader della Cgil ha detto «è una finanziaria che non dà nulla al lavoro, agli investimenti e al Mezzogiorno e non c'è soluzione neanche per i precari dell'università». «Manca la promessa di stabilizzare i giovani ricercatori precari», ha spiegato il segretario generale della Cgil, aggiungendo: «gli interventi del governo vanno contro il mondo del lavoro».

«Troppi imprenditori stanno facendo i furbetti, stanno intervenendo per rilevare, chiudere, rivendere e naturalmente licenziare i lavoratori» ha detto il segretario della Cgil, e «tutto questo non va bene, ecco perchè bisogna che l'informazione torni a parlare della crisi».

Epifani parla poi della Finanziaria approvata ieri definendola «troppo al di sotto della portata della crisi». Epifani ha ricordato: «Avevamo chiesto più ammortizzatori sociali, ci è stato risposto di no. Avevamo chiesto la riduzione del carico fiscale per i lavoratori dipendenti e i pensionati, ci hanno risposto di no. E sui precari?», ha domandato ricevendo dalla piazza un coro di no. Ma Epifani ha corretto la piazza dicendo: «No, qui bisogna dire sì, quella sui precari era l'unica promessa, in 80 mila dovevano essere impiegati nel mondo della ricerca e dell'università, invece - ha poi aggiunto ironizzando - è diventato un no! Così come per il pubblico impiego, per gli investimenti, la richiesta di cambiare il patto di stabilità per dar modo ai Comuni e alle Province di investire e spendere. A tutto è stato detto di no: o noi non abbiamo capito o, se le cose stanno così, il governo non ha fatto e non vuole fare niente».

Botta e risposta tra Epifani e Sacconi. «L'unica cosa che non si può dire è che non leggiamo le cose del Governo. Vorremmo leggere cose diverse, è questo il punto» ha Epifani. «Noi non ce l'abbiamo con il governo, ma con quello che fa», ha sottolineato Epifani, replicando indirettamente al ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che, parlando oggi a Soave, ha definito quella del sindacato un'opposizione a prescindere. Epifani ha raggiunto all'altezza di largo Santa Susanna il corteo della manifestazione della Cgil partito da Piazza della Repubblica, per poi mettersi alla testa del corteo dietro lo striscione.

Bersani: il governo ha perso 18 mesi, è l'ora della svolta. «Il Governo ha perso 18 mesi preziosissimi». È «l'ora di una svolta. Il Parlamento deve varare una vera manovra anti-ciclica a sostegno della domanda aggregata, quindi dei consumi delle famiglie e, per tale via, degli investimenti delle imprese, dell'occupazione, dei profitti». Questo uno dei passaggi del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Bersani parla dell' «aspetto peggiore della difficilissima fase in corso» che «è l'occultamento dei problemi, la forzata rappresentazione di una normalità inesistente»; «si continua a ripetere che il peggio è alle nostre spalle», dice il segretario del Pd, «non è così per l'economia reale».

Per questo, dice Bersani, «dobbiamo rafforzare ed estendere la rete degli ammortizzatori sociali, in particolare per i contratti privi di copertura assicurativa, come indicate nella vostra piattaforma; dobbiamo ridurre le imposte sui redditi da lavoro e sulle pensioni medie e basse; allentare il Patto di stabilità interno sulla spesa per investimenti di comuni e province per far partire i progetti immediatamente cantierabili; dobbiamo rimuovere il tetto ai crediti di imposta per gli investimenti delle imprese nel Mezzogiorno e per le spese in ricerca e sviluppo; dobbiamo potenziare i consorzi fidi per dare liquidità alle imprese».

Un commento anche sulla banda larga. «Mentre la Germania guarda al futuro noi resteremo indietro» ha detto il segretario generale della Cgil. «C'era un investimento di 800 milioni di euro, che avrebbe garantito lavoro a 50 mila persone, l'investimento da un giorno all'altro è stato cancellato. Un fatto molto grave perchè, mentre noi rinunciamo ad estendere la velocità di trasmissione in tutto il Paese, la Germania tra 3 o 4 anni sarà completamente cablata e trasmetterà i dati a 50 megabyte. Loro - ha detto Epifani - guardano al futuro e noi resteremo indietro. Su questo - ha aggiunto - lancio un guanto di sfida perchè abbiamo ragione noi».

Cicchitto: da Pd e Cgil menzogne sull'inerzia del governo. «Epifani e Bersani dicono menzogne affermando che il governo non ha fatto nulla per diciotto mesi e non ha affrontato i nodi dell'economia» dice il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrzio Cicchitto, commentando le parole del leader della Cgil e del segretario del Pd. «Certamente -aggiunge Cicchitto - il governo non ha seguito la linea irresponsabile e demagogica, della Cgil e della sinistra, di aumentare il deficit di un punto di Pil, che avrebbe messo in crisi i titoli di stato e portato il Paese al dissesto finanziario. Invece, realisticamente e compatibilmente all'enorme debito pubblico che pesa sull'Italia, l'esecutivo ha sviluppato un'azione, fondata su numerose iniziative legislative, che ha favorito la fuoriuscita dell'Italia dalla recessione, come dimostra l'attuale crescita del Pil pari allo 0,6 %».


Oltre 100mila i lavoratori in corteo secondo gli organizzatori. Tante le bandiere della Cgil, della pace, ma anche di partiti della sinistra come il Pd, l'Idv, dei Comunisti Italiani e grossi palloni colorati con la scritta Flc-Cgil. Nel corteo alcuni striscioni sono quelli delle aziende in crisi come l'Eutelia, che ne espongono uno con la scritta «Eutelia: come arricchire i padroni depredando i lavoratori. Landi, dove sono finiti i soli e gli immobili di Getronics e Bull?». I lavoratori hanno raggiunto la capitale con 3 treni e oltre 750 pullman. Già presenti esponenti politici nazionali come Oliviero Diliberto, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero. In testa alla manifestazione la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camussso e il segretario regionale del Lazio Claudio Di Berardino.

Secondo il il segretario generale Cgil Roma e Lazio Claudio Di Berardino «sul tema della crisi e del sostegno al reddito il ruolo del Comune di fatto ad oggi è inesistente, non mostra interesse a raggiungere un'intesa».

Studenti in piazza. Sono centinaia, secondo l'Unione degli Universitari, gli studenti in piazza. «Oggi l'Università pubblica si trova di fronte ad un cammino che la porterà ad invertire il suo ruolo di traino della società. Il processo di privatizzazione - sottolinea l'Udu - con l'inserimento di privati nei CdA per almeno il 40% dei componenti, porterà la didattica e la ricerca ad essere indirizzate verso i settori di mercato in cui investono i finanziatori che siederanno nei CdA». «Il diritto allo studio verrà, inoltre, slegato dai requisiti di reddito con l'istituzione di un fondo speciale per l'erogazione di borse di studio secondo prove nazionali. Secondo l'Udu «con questo indirizzo il Governo intende fare una scelta molto precisa, quella di eliminare l'istruzione universitaria dalla spesa pubblica, scelta che contestiamo profondamente perchè l'Università pubblica non può chiudere, nell'interesse non solo degli studenti, ma anche nell'interesse del Paese intero che si troverà con questa strada in pochi anni ad avere una separazione sociale nell'istruzione universitaria, tornando indietro di decenni».
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