giovedì 16 dicembre 2010

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Lavoro:mezzo milione di posti in meno

Preoccupano i dati su disoccupazione e Pil in Italia. Dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010 - evidenzia Confindustria - il numero di occupati è diminuito di 540mila (senza contare le ore di Cig che hanno impatto pari a 480mila unità). Inoltre "Il numero delle persone occupate continuerà a diminuire nel 2011". Limate al ribasso le stime sul Pil: la crescita si fermerà al +1% nel 2010 (rivisto dal +1,2%) ed al +1,1% nel 2011 (dal +1,3%).


Il massiccio ricorso alla Cig durante la recessione, si legge nel rapporto di Confindustria, ha notevolmente attenuato l'impatto della crisi sul numero di occupati: dal primo trimestre del 2008 al terzo del 2010 quest'ultimo è diminuito di 540mila unità, contro una diminuzione delle ula (unità di lavoro equivalenti a tempo pieno) di 1 milione e 221mila unità, di cui 480mila assorbite dalla Cig al suo picco nel secondo trimestre del 2010.

Tanto più consistente è stato quindi il ricorso alla Cig (particolarmente elevato in alcuni comparti industriali), tanto più lenta sarà la ripresa dell'occupazione. La riduzione dei cassintegrati ritarda infatti la creazione di posti di lavoro. Il loro mancato reintegro si traduce in disoccupazione; il rischio che ciò avvenga è più alto in caso di Cigs e cassa in deroga (specie se prolunga interventi ordinari o straordinari) che sono salite di importanza e sono arrivate a pesare per il 77,6% delle integrazioni nella seconda parte del 2010, dal 28,5% del primo semestre 2009.

"Strumenti insufficienti"
Con la crisi ''la contrazione economica è stata violenta: -6,8% il Pil da massimo a minimo, 35 trimestri perduti''. Lo sottolinea il Centro studi di Confindustria sottolineando che ''il recupero si dimostra indeciso e lentissimo: +1,5% finora''. Così, spiegano gli economisti di via dell'Astronomia, ''non si ritornerà sui valori prerecessivi che nella primavera del 2015. Per riagguantare entro la fine del 2020 il livello del trend, peraltro modesto, registrato tra 2000 e 2007, l'Italia dovrebbe procedere d'ora in poi ad almeno il 2% annuo''. Un obiettivo ''raggiungibile in un arco di tempo ragionevole, come insegna la lezione tedesca, entro il 2012 secondo gli stessi documenti governativi''. Ma ''per coglierlo gli strumenti messi in campo appaiono insufficienti. Aumenta il conto delle riforme mancate o incomplete o inadeguate rispetto a quanto realizzato dai partner-concorrenti come la Germania''.

Inflazione stabile, i consumi cresceranno poco
La dinamica dei prezzi al consumo in Italia è "sostanzialmente stabile", su valori bassi mentre i consumi cresceranno poco. E' quanto si legge nel rapporto scenari economici del Centro Studi Confindustria. L'aumento dei prezzi al consumo rimarrà contenuto, sotto il 2%, nel prossimo biennio. Per il Csc nel 2011 l'inflazione sarà poco più alta dei livelli correnti: 1,9% a dicembre, 1,8% in media (1,9% in Eurolandia). E si stabilizzerà all'1,9% nel 2012 (lo stesso ritmo dell'area). Tensioni si verificheranno per i listini dei beni ad alto contenuto di materie prime energetiche e alimentari, le cui quotazioni sono rincarate nettamente. In generale i corsi delle commodity sono record e comprimono i margini aziendali. I consumi, invece, cresceranno poco, seppure in graduale accelerazione: dopo il +0,7% nel 2010 (-1,8% nel 2009), segneranno +0,9% nel 2011 e +1,2% nel 2012; si tratta di progressi superiori a quelli del reddito.

Bisogna puntare di più su Ict
''Per le principali economie avanzate le Ict (Information and Communcation Technology) sono dalla metà degli anni '90 il principale motore della crescita guidata dall'innovazione''. Lo sottolinea il Centro studi di Confindustria che dedica al tema dell'innovazione tecnologica il rapporto ''scenari economici'' di dicembre. Per gli economisti di via dell'Astronomia ''in Italia questo propulsore è stato finora usato meno, per ragioni di domanda e di offerta''. E ''un maggiore sfruttamento dell'Ict nel 1997-2007 avrebbe condotto a un Pil italiano più alto del 7,1%''. Secondo le stime di Confindustria, ''se nei prossimi cinque anni l'intensità del capitale Ict fosse portata ai valori del Regno Unito, ciò aggiungerebbe lo 0,8% alla crescita annuale del Pil, quasi raddoppiandola''. Ma ''per far ciò serve uno sforzo congiunto di imprese utilizzatrici (spesso piccole) e produttrici, intervento pubblico e università".

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martedì 14 dicembre 2010

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La sconfitta della mozione di sfiducia al governo ha i nomi di Maria Grazia Siquilini e Catia Polidori di Fli


ROMA - Due deputate e tre cosiddetti "responsabili". La sconfitta della mozione di sfiducia al governo ha i nomi - a sorpresa - di Maria Grazia Siquilini e Catia Polidori di Fli e di Domenico Scilipoti, Massimo Calearo e Bruno Cesario che, alla vigilia della crisi, si sono inventati un movimento da hoc, "cosidetto "gruppo di responsabilità".
La sorpresa principale - oltre a Moffa, che non ha votato e Catone che si è schierato con la maggioranza - sono proprio le donne finiane. Pesa la loro scelta che lacera il movimento del presidente della Camera. Dopo il 'no' motivato di Maria Grazia Siliquini, a peggiorare la situazione è arrivato il salto della barricata della Polidori. Sconcerto e rabbia tra i futuristi: "Se Catia ce l'avesse detto ieri sera alla riunione - osserva gelido Benedetto Della Vedova uscendo col volto scuro dall'aula - sarebbe stato, come dire? Più elegante...". Più indignato Luca Barbareschi, che parla di voto "vergognoso" e spiega a chiare lettere che la Polidori è stata "minacciata": "La Polidori è stata minacciata per le sue aziende. Le hanno detto che le chiudevano le sue aziende. Sappiamo per certo che la Polidori, la cui azienda di famiglia è il Cepu, ha ottenuto rassicurazioni che la favoriscono".

Dopo il voto della deputata si è anche accesa una rissa in Aula tra i deputati di Fli e i leghisti
(guarda il video) 1. Stando alle ricostruzioni il finiano Giorgio Conte avrebbe insultato la Polidori. Sono dovuti intervenire i commessi per evitare il contatto tra i parlamentari.

Il voto dei "responsabili" invece era atteso. Ma i tre l'hanno condito di un'incertezza fino alla fine. Primo parlando di "voto doloroso ma rivoluzionario", poi saltando la prima chiama, poi votando contro la mozione tra gli applausi della maggioranza. E concludendo la giornata nello studio di Silvio Berlusconi.
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FLI: "Berlusconi si dimetta"

FLI A BERLUSCONI: "DIMETTITI". I gruppi di Fli "chiedono al presidente del Consiglio di rimettere il mandato al Quirinale senza aspettare la conta della Camera per dar vita a un nuovo esecutivo che affronti le emergenze del Paese con un'ampia maggioranza di centrodestra nell'ambito di un chiaro, concreto e delineato patto di legislatura" e "si impegnano a rendere esplicita in Parlamento la disponibilità di attivare la nuova fase senza porre pregiudiziali sul reincarico, disponibili a discutere nel concreto il programma e la composizione del nuovo esecutivo".

NESSUN RIBALTONE. Se Berlusconi rifiuterà la mediazione offerta "gli esponenti di Fli voterebbero compatti la mozione di sfiducia e, ove questa fosse approvata, escludono ogni ipotesi di governo che possa prefigurare ribaltoni contro l'indicazione del corpo elettorale e si impegnano, quali forze responsabili del centrodestra, alternative alla sinistra, a sostenere un nuovo governo di centrodestra affidato ad altra personalità".



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Via libera anche alla Camera,Dopo la votazione della fiducia al Senato, con 162 voti favorevoli, anche la Camera ha confermato la fiducia BERLUSCONI

14.25 - Bocchino: "Moffa chieda mie dimissioni, vedremo"
''Venga a presentare la sua richiesta davanti all'Assemblea del gruppo e vedremo cosa succede''. Così risponde il capogruppo di Fli Italo Bocchino al collega Silvano Moffa, che ha chiesto le sue dimissioni dalla presidenza del gruppo.

14.18 - Frattini: "Risultati ci consentono di governare"
Il voto di oggi alle Camere "consentirà" all'attuale maggioranza di governare, e "di attuare, se possibile, l'offerta di Berlusconi per allargare ad altre forze politiche questa stagione di governo". Lo ha sostenuto il ministro degli Esteri Franco Frattini, intervistato dal Tg1.

14.15 - Bersani: "Non cambia nulla, così non ce la fa"
"Non cambia nulla, il governo non ce la fa". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commenta il voto di fiducia ottenuto dal governo alla Camera, aggiungendo che "la crisi politica ne è esce drammatizzata".

14.12 - D'Alema: "Governo vince per 3-4 voti"
''Un episodio abbastanza vergognoso nella storia parlamentare. In sostanza il governo vince per 3-4 voti comprati, alcuni in modo palese altri meno''. Massimo D'Alema commenta l'esito del voto di fiducia al governo. ''314 voti raccattati in questo modo - sostiene D'Alema - non sono la base per governare il Paese. Temo che il voto sia più vicino''.

14.05 La Russa: "E' fallito il loro assalto"
''Non siamo noi ad avercela fatta, sono loro che hanno fallito con il loro assalto''. Così Ignazio La Russa, ministro della Difesa e coordinatore del Pdl, ha commentato l'esito del voto di fiducia alla Camera.

13.56 - Berlusconi: Berlusconi: Sono sereno come lo sono sempre stato"
"Sono sereno come lo sono sempre stato": Silvio Berlusconi, assediato da una calca di giornalisti, dice solo queste brevi parole a conclusione del voto sulle mozioni di sfiducia alla Camera. Accerchiato da un cordone di commessi parlamentari, che a stento respingono il pigia-pigia, il presidente del Consiglio esce dall'emiciclo tra gli applausi dei parlamentari del Pdl e della Lega che lo attendono in Transatlantico.

13.39 - Camera, governo ottiene la fiducia
Dopo il via libera del Senato, il premier Berlusconi ha ottenuto la fiducia al proprio governo anche alla Camera. La mozione di sfiducia ha ottenuto 311 voti contro i 314 a favore dell'esecutivo. Due astenuti. Alla votazione erano presenti in tutto 627 deputati, ma i votanti sono stati 625, in seguito all'astensione dei deputati della Svp. Quando il presidente Gianfranco Fini ha proclamato il risultato della votazione si è scatenato un applauso. Dai banchi di Pdl e Lega si è subito urlato in coro ''dimissioni, dimissioni!'' verso Fini.

13.37 - Moffa non vota

13.37 - Scilipoti e Calearo: no a sfiducia
Domenico Scilipoti e Massimo Calearo hanno votato contro la sfiducia al governo nell'Aula della Camera. Contro la sfiducia ha votato anche Bruno Cesario.

13.37 - Camera, iniziata seconda chiama

13.32 - Catone (Fli) vota con la maggioranza
Il finiano Giampiero Catone ha votato contro la mozione di sfiducia al governo. Durante il suo passaggio tra i banchi della presidenza è stato applaudito dai deputati del Pdl.

13.31 - Calearo per ora non vota
L'ex deputato del Pd Massimo Calearo non risponde alla prima chiama sulla mozione di sfiducia al governo.

13.27 - Berlusconi vota no e non saluta Fini
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, vota contro la mozione di sfiducia al suo governo ma passando tra i banchi del governo saluta solo il segretario d'Aula Pippo Fallica. Tira dritto, invece, davanti a Gianfranco Fini che, sorridendo ironico, lo segue con gli occhi dal banco della presidenza. Mentre Berlusconi vota tutti i deputati del Pdl gli battono le mani.

13.14 - Siliquini vota no a mozione, Scilipoti non risponde a chiama
La parlamentare ex Fli, Maria Grazia Siliquini, ha votato contro la mozione di sfiducia al governo. I deputati del Pdl hanno salutato il suo voto con un applauso. L'ex deputato dell'Idv, Domenico Scilipoti, ha annunciato il suo voto ''a favore del paese'', ma è risultato assente alla prima chiama.

13.13 - Berlusconi: "Vi dicevo che Fli si spaccava"
Ve lo dicevo che Fli si spaccava. Lo avrebbe detto il premier Silvio Berlusconi incontrando alcuni esponenti dell'esecutivo e del Pdl nella sala del governo e commentando con loro le defezioni di Futuro e Libertà.

13.10 - Moffa: "Voto sfiducia e chiedo dimissioni Bocchino"
Silvano Moffa ha annunciato che voterà la sfiducia al governo, ma ha anche chiesto le dimissioni di Italo Bocchino da capogruppo Fli.

13.09 - Razzi vota contro sfiducia
L'ex deputato dell'Idv Antonio Razzi ha votato contro la mozione di sfiducia al governo. Dal Pd e dall'Idv partono 'Buu' e cori di 'venduto', mentre deputati del Pdl battono le mani.

13.03 - Polidori vota no a sfiducia, scoppia rissa in Aula
La parlamentare finiana Catia Polidori vota contro la mozione di sfiducia al governo. Il Pdl si scatena in un applauso. Subito dopo scoppia un tafferuglio in Aula tra Fabio Granata e Giorgio Conte. I commessi stanno bloccando i deputati che cercavano di venire alle mani. Il deputato Antonio Bonfiglio prova ad attaccare Gianni Fava ma è bloccato da Guido Crosetto e dai commessi. Fava grida a Fini: ''Tutto grazie a te''.

13.02 - Nicco (minoranze linguistiche) vota sfiducia
L'esponente delle Minoranze linguistiche, Union Valdotaine, Roberto Rolando Nicco ha votato a favore della mozione di sfiducia al governo.

12.57 - Miglioli (Pd) e Mannino (Pid) assenti
Il deputato del Pd Ivano Miglioli e l'esponente del Pid, Calogero Mannino non rispondono alla prima chiama. Risulta assente, per ora, anche Alessandra Naccarato, del Pd.

12.54 - Moffa non risponde a prima chiama
Il deputato di Fli Silvano Moffa non ha risposto alla prima chiama sulla mozione di sfiducia al governo.

12.45 - Grassano (Ld) vota a favore del governo
Il liberaldemocratico Maurizio Grassano ha votato contro la mozione di sfiducia al governo. Prima di votare ha parlato qualche secondo con il ministro della Difesa Ignazio La Russa in piedi lì vicino. Il suo voto è stato accolto da un applauso dei deputati del Pdl. Grassano aveva rinunciato a fare il suo intervento a titolo personale nell'aula della Camera.

12.33 - Bossi: "Passiamo, abbiamo il voto che mancava"
''Passiamo, passiamo. Abbiamo il voto che ci mancava''. Lo afferma il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, conversando con i cronisti a Montecitorio.

12.32 - Bossi: "Unica igiene è il voto"
''Per quello che si vede in Aula e per il casino che c'è l'unica igiene è il voto. La gente che vede questa roba in tv si allontana dalla politica, capisce che non si può continuare''. Lo afferma il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, commentando il dibattito parlamentare a Montecitorio sulla sfiducia al governo.




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venerdì 3 dicembre 2010

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WikiLeaks oscurato dai domini americani svizzeri. Ecco il link olandese

WikiLeaks è stato Oscurato anche in svizzera. Ora è appoggiato su un dominio olandese

clikka qui http://wikileaks.nl/ Continua a leggere!

martedì 30 novembre 2010

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Le istituzioni di Bruxelles, l'Fmi e il governo di Dublino hanno concordato il piano di aiuti per salvare l'Irlanda

Il piano di salvataggio economico dell’Irlanda ha ricevuto il necessario imprimatur domenica sera nel corso di un incontro in videoconferenza tra l’Eurogruppo ed i rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale capitanati dal direttore generale Dominique Strauss-Khan.
Hanno partecipato anche i ministri delle Finanze di Gran Bretagna, Svezia e Danimarca che si sono impegnati a fornire un aiuto su base bilaterale.
Commissione Europea, Bce, Fmi e governo di Dublino hanno deciso il varo di un intervento pianificato nel corso degli ultimi giorni per puntellare il debito bancario e quello sovrano della ex “tigre celtica” – assurta negli anni ’90 agli onori delle cronache economiche per la sbalorditiva capacità di attrarre capitali esteri.
L’aiuto finanziario, ora alla scontata approvazione dell’Ecofin, prevede un prestito di 85 miliardi di euro, di cui ben 35 da destinarsi al salvataggio del sistema bancario.




Dublino dal canto suo ha recentemente varato una contestatissima manovra quadriennale da 15 miliardi per risanare i suoi conti. A tal fine è stato programmato, oltre a tagli alla spesa complessivamente pari a 10 miliardi, un aumento dell'iva al 22% nel 2013 e al 23% nel 2014.




Si tratta di un intervento la cui magnitudo era sostanzialmente già nota e di fronte alla quale, negli ultimi giorni, i mercati avevano reagito apaticamente, se non negativamente.




Le preoccupazioni che la crisi del debito irlandese possa allargarsi ad altre “periferie deboli” dell’eurozona hanno causato nelle ultime settimane perdite sui mercati azionari per un valore che secondo Bloomberg si aggirerebbe attorno ai 2300 miliardi di dollari, prova tangente che il salvataggio di Dublino non frenerà più di tanto le tensioni sui mercati.




L’effetto slavina sulle altre economie europee potrebbe quindi essere a portata di mano. Secondo il Financial Times l’esposizione delle banche europee sull’Irlanda supera i 350 miliardi di euro.




Non è un caso quindi se il pessimismo si è impadronito della maggior parte delle analisi economiche articolate recentemente dagli esperti e molti di loro, anticipando un probabile effetto domino su Portogallo e Spagna - nonostante le smentite a tutto campo provenienti da Lisbona e Madrid - hanno cominciato a temere l’approssimarsi di una crisi “sistemica”.




Le improvvide dichiarazioni di alcuni leader europei della scorsa settimana sembravano avvalorare le preoccupazioni dei mercati mettendo in mostra evidenti e profonde difformità programmatiche. Altro che spirito comunitario.




"Siamo in una situazione molto seria, dobbiamo innanzitutto dare una risposta sistemica alla crisi. Ho fiducia che ce la faremo": così ha parlato Olli Rehn, commissario Ue agli affari economici e monetari, poco prima della riunione a Bruxelles.




"Proteggere le basi della ripresa economica in Europa", questo il principale obiettivo secondo Rehn.




La vera posta in gioco è il mantenimento in vita della stessa Europa monetaria venuta alla luce nel gennaio del 1999 proprio con il varo dell’euro. Un’iniziativa ardita – una moneta senza Stato – che l’ottimismo della volontà dei suoi coraggiosi artefici sperava potesse fare da volano alla costruzione di un’Europa politica.




Proprio perché, a bail-out avvenuto, la priorità è ridare fiducia ai mercati evitando che la situazione vada fuori controllo, ieri a Bruxelles la decisione prospetticamente più importante è stata la creazione di un fondo che si occuperà di fare da schermo permanente alle crisi.
30 novembre 2010 Il meccanismo prevede, innovando l’architettura di questo tipo di strumenti, il coinvolgimento - da stabilirsi “caso per caso” - degli investitori, acquirenti dei debiti sovrani dei paesi a rischio di insolvenza.
In caso di intervento gli investitori verrebbero chiamati nella ristrutturazione sia del pagamento degli interessi che di una quota del capitale.
Viene così accolta, seppure con una modalità diversa e senza lo stabilimento di un vero e proprio meccanismo, la proposta tedesca che si preoccupava di prevedere anche per gli investitori degli “oneri” da sostenere in caso di crisi.
Si tratta di quanto esposto con molta chiarezza da Max Weber, direttore della banca centrale tedesca: “La prossima volta che si verifica una crisi, gli obbligazionisti saranno parte della soluzione anziché del problema. Fino ad oggi gli unici che hanno pagato per risolvere il problema sono i contribuenti”.
Il previsto meccanismo permanente di salvataggio dovrebbe entrare in vigore a partire dal 2013 e potrebbe avere in dote, secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, il doppio delle disponibilità, circa 440 miliardi di euro, attualmente detenute dal fondo salva–Stati: lo European Financial Stability Facility utilizzato per la prima volta proprio per dare ossigeno a Dublino e previsto fino al giugno del 2013.
Robert J. Samuelson dalle colonne del Washigton Post evidenzia che la crisi irlandese - mettendo a nudo le difficoltà europee sui due più qualificanti progetti della costruzione europea, quello sociale del sistema avanzato di welfare democratico e quello politico-economico dell’unione monetaria - paradossalmente fa sì che “quello che c’è da sapere sulla crisi economica irlandese è che non riguarda l’Irlanda”.


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Irlanda, è intesa per accordo di 85 miliardi

A Dublino prestito per 85 miliardi, 35 per le banche. Dopo la riunione straordinaria dell'Eurogruppo, prevista per le 13, seguirà una riunione informale dell'Ecofin.

CRISI E AIUTI. Gli aiuti della comunità internazionale proverranno in parte dall'European Financial stability facility, il fondo da 440 miliardi creato l'estate scorsa per far fronte a rischi di stabilità per la zona euro dopo il caso greco, in parte dal Fondo monetario internazionale e ancora da prestiti bilaterali da parte di Regno Unito, Svezia e Danimarca, che pur essendo fuori dall'Eurozona sono particolarmente esposti verso l'economia irlandese.

PRESIDENTE COMMISSIONE EUROPEA. Secondo il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, intervistato da Bruxelles sulla radio francese Europe 1, l'Europa ha gli strumenti necessari per far fronte ad altre crisi, dopo quelle che hanno colpito la Grecia o l'Irlanda. "Abbiamo tutti gli strumenti nel caso in cui ci fossero altre crisi" in Europa, ha assicurato Barroso, interpellato sui rischi di contagio della crisi irlandese nell'Unione europea (Ue). "C'è la capacità di far fronte a ogni genere di crisi, sia con il fondo sia con ogni tipo di provvedimento", ha aggiunto il presidente della Commissione che fa allusione al fondo di salvataggio istituito sulla scia della crisi del debito in Grecia.Barroso ha inoltre detto di auspicare un accordo "unanime" dei ministri delle Finanze europei, riuniti oggi pomeriggio a Bruxelles, per esporre nei dettagli il piano di aiuti previsto a favore dell'Irlanda, nella morsa dei debiti del suo settore bancario. Il governo irlandese e la missione di esperti europei e del Fondo monetario internazional(Fmi) hanno raggiunto un'intesa sulle grandi linee di un piano di aiuti di circa 85 miliardi di euro a Dublino, ha indicato una fonte diplomatica. Una parte importante del programma varato, 35 miliardi di euro, deve servire a salvare le banche irlandesi, funestate dai debiti a seguito dello scoppio di una bolla immobiliare, secondo un'altra fonte diplomatica. Il resto andrà allo stato irlandese, che ha visto il suo deficit pubblico schizzare al 32,1 per cento del prodotto interno lordo.
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Crisi Irlanda, Trap si riduce stipendio

ROMA, 30 NOV - Alle prese con la crisi economica che sta scuotendo l'Irlanda, il ct della nazionale di calcio Trapattoni e il presidente della Federcalcio Delaney hanno deciso di ridursi lo stipendio. Lo scrive 'The Irish Sun', precisando che 'Trap' guadagna un milione 800 mila euro all'anno, mentre Delaney ne prende 400 mila all'anno. Quanto sara' la riduzione non e' stato precisato, ma Delaney ha fatto sapere che si trattera' ''di un taglio significativo'', sicuramente superiore al 5% Continua a leggere!
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Crisi Irlanda

Se la crisi della Grecia ha mostrato i limiti del sistema europeo, in particolare dei parametri di Maastricht in relazione alla gestione del bilancio pubblico, la parallela crisi in Irlanda mostra i limiti del sistema finanziario, troppo facilmente soggetto a spirali speculative quando viene eccessivamente surriscaldato. Difatti l’Irlanda - fino a due anni fa - aveva il secondo reddito pro-capite dell’Unione europea, oggi il secondo deficit più alto proprio dopo la Grecia; in più, è stata la prima economia della Ue ad entrare in recessione nel 2008 ed è l’ultima che ne uscirà: solo dopo il 2011.
C’è da chiedersi perché e come è stato possibile giungere dall’era della "Tigre celtica", fase sicuramente benefica nella storia del paese, alla fase di depressione attuale, e di nuovo, perché e come si è giunti ad una crisi che ha spazzato via 20 anni di prosperità come un vero terremoto.
Se l’argomento qui trattato fosse esposto come in una favola inizierebbe così: c’era una volta una Tigre, giovane e dinamica, temuta dai suoi concorrenti perché riusciva ad attrarre a sé le prede con un’abilità e velocità che a gli altri non erano possibili, ora questa tigre non c’è più: non graffia e non ruggisce.
Questa però non è stata una favola, anzi, al contrario è realtà tangibile. La realtà è che oggi l’Irlanda sta attraversando una fase delicata della sua storia, una grave crisi economica. La crisi segue i 20 anni circa di boom che hanno contraddistinto tra il 1988 e il 2007/2008 l’era della Tigre celtica, il periodo di massimo splendore economico dell’isola.

Questa crisi nasce dapprima come crisi finanziaria nel settembre 2008, nel contesto della più ampia crisi finanziaria globale scoppiata negli Usa tra 2007 e 2008. A sua volta la crisi finanziaria in Irlanda trae origine da due fattori. Il primo, un fenomeno indiretto e di per sé positivo: ovvero la fortissima e rapida espansione economica (in particolare finanziaria) che ha caratterizzato gli anni che vanno dal 1995 al 2007. Il secondo fattore, questa volta diretto, fu lo scoppio della bolla speculativa immobiliare, denominata Irish property bubble, tra 2007 e 2008, che a sua volta è stato responsabile della crisi bancaria irlandese. Questo'ultimo fattore è riconducibile al primo: l’espansione economica e la conseguente crescita della domanda d’investimenti (in particolare estera), l’espansione della domanda interna, il boom demografico e della prosperità delle famiglie, quindi l’espansione del credito e quindi d’investimenti immobiliari.
Ora, per capire le origini della crisi è necessario analizzare la fase precedente ad essa: quella della crescita, la fase della Tigre celtica. Ancora a ritroso, per spiegare quelle che sono le fondamenta su cui si è poggiata questa crescita, ripercorreremo molto in breve le tappe dello sviluppo economico dell’isola negli ultimi decenni. Come si noterà, sono state caratterizzate da una altalenante discontinuità tra periodi di crescita rapida e depressione economica.

Breve storia dello sviluppo economico

In poco più di una generazione, l’Irlanda è passata dall’essere uno dei paesi più poveri dell’Europa occidentale ad esserne uno dei più prosperosi, invertendo la storica situazione di terra d’emigrazione, e raggiungendo una reputazione invidiabile in quanto a sviluppo. Come risultato di un impegno costante durato molti anni, si è lasciata alle spalle il suo passato caratterizzato da una popolazione in declino, un basso tenore di vita, perenne stagnazione economica e disoccupazione cronica. L’Irlanda aveva allora, e fino al 2009, il secondo più alto prodotto interno lordo (PIL) pro capite nell’Unione europea (dopo il Lussemburgo), superiore di un terzo rispetto alla media UE-25.
Le tappe fondamentali verso questa crescita sono state: l’ingresso nella CEE nel 1973 e l’abbandono delle politiche isolazionistiche autarchiche di stampo nazionalista; l’adozione di un approccio pragmatico alla ricerca di business, la cui chiave è stata quella di concentrarsi su industrie che rappresentavano l’alta tecnologia del futuro (computer, prodotti farmaceutici, tecnologia medica, servizi internazionali); lo sviluppo dell’insegnamento superiore ed universitario in modo da formare giovani con competenze elevate per queste nuove aziende. Tali politiche furono il presupposto per la prima fase di espansione economica degli anni ‘70, arrestatasi durante il successivo decennio, quando inizia una fase di depressione economica (tra il 1981 e il 1986). I fattori determinanti per la stagnazione degli anni ‘80 erano interni ed esterni. Quelli interni comprendevano il permanere di una persistente inflazione (quasi all’11% annuo in questo periodo) e l’alta disoccupazione giovanile (dovuta, nonostante i molti posti di lavoro creati con i nuovi investimenti esteri, all’inefficienza del sistema di collocamento della forza lavoro e al crescente tasso di fallimento delle grandi imprese). I tentativi di intervento del governo portarono essenzialmente ad aumenti del carico fiscale, col solo risultato di inasprire il clima per nuovi investimenti, senza riuscire ad aumentare né l’occupazione né la domanda aggregata.
Ebbene, da questi presupposti incominciò all’inizio degli anni ‘90 l’ascesa economica della tigre celtica.


La tigre celtica ruggisce

Il primo elemento della crescita fu un'efficace riduzione della spesa con tagli ad enti pubblici e agenzie. Un secondo elemento di forza del piano d’azione furono poi gli aumenti salariali, in cambio di modeste riduzioni delle imposte sul reddito. Questi sono gli anni del National Recovery Program, un piano economico che coinvolgeva il governo, i datori di lavoro, le banche, i sindacati e gli agricoltori. Questo piano di rilancio ha contribuito a spezzare la spirale di aumenti salariali inflazionistici, assicurando un fertile terreno per il rilancio industriale. Altro fattore fondamentale è stato inoltre l’assiduo investimento in capitale umano nel corso degli ultimi decenni, così da avere una forza lavoro di lingua inglese e cultura anglosassone ben preparata e con livelli d’istruzione addirittura migliori di quelli presenti negli USA e nel Regno Unito, unitamente ad un livello di tassazione favorevole agli investimenti esteri e allo stanziamento di sussidi alle imprese high-tech. Basti pensare che l’imposta sulla produzione era appena del 10% prima del 1998 per poi si muoversi ad un più elevato tasso del 12,5% fino al 2011. Certezze di lungo periodo associate a questi bassi tassi sono state la caratteristica fondamentale della politica irlandese, che è stata attuata in modo coerente da tutti i governi durante il boom. Il vantaggio per le imprese, dato dalla bassa pressione fiscale, è stato arricchito da una vasta rete di accordi, dal trattamento favorevole dei dividendi stranieri e dal supporto delle norme amministrative.
Le basse percentuali di tassazione hanno prodotto una sorta di "effetto reddito" , evidente se si guarda alla percentuale relativamente elevata di entrate fiscali ricevute da utili societari: il 30%. A paragone l’imposta sul reddito societario rappresenta solo il 13% di tutte le entrate fiscali in Italia rispetto al 6% negli Stati Uniti, o l’8% nel Regno Unito, 7% in Francia, 3% in Germania, e il 9% in media nei paesi OCSE. Tutti questi fattori hanno portato varie società multinazionali ad utilizzare l’Irlanda come piattaforma di esportazione per servire l’Europa e altri mercati (e.g. Google).

La crisi
Come accennato nell’introduzione, la crisi in Irlanda era già iniziata nel 2007, nel settore edilizio, con lo scoppio della bolla speculativa domestica. Sempre nell’incipit si diceva che le basi di questa crisi sono legate strettamente al periodo di boom degli anni della Tigre celtica; a tal proposito occorre analizzare gli aspetti salienti che hanno portato alla bolla speculativa durante il boom economico: la piena occupazione, la crescita del reddito pro-capite, le politiche fiscali del governo, il comportamento di banche ed investitori, in particolare nel settore immobiliare. Nel 1989 solo il 31% della popolazione irlandese aveva un lavoro. Era il più basso livello d’occupazione dei paesi OCSE, di ben 15% più basso degli USA o del Regno unito. Con la presenza di buone politiche economiche e di una combinazione di stabilità macroeconomica e crescita, l’economia irlandese è poi diventata una "macchina" di creazione di posti di lavoro arrivando alla piena occupazione.
L’occupazione è cresciuta ad 1,1 milioni di occupati la fine degli anni Ottanta a 2,1 milioni nel 2007 (+91%). Negli anni Novanta questa "macchina" funzionò grazie all’impiego della mole di giovani che in passato si sarebbe avviata verso l’emigrazione o si sarebbe barcamenata tra le difficoltà della disoccupazione.
Già all’inizio del nuovo millennio v’erano diversi sentori che l’era della Tigre celtica fosse al tramonto. Intorno al 2000 la popolazione irlandese aveva un reddito medio molto più alto di quello percepito nei anni Ottanta. Nonostante ciò, molti aspetti strutturali ed economici del paese riflettevano ancora il suo passato povero: ad esempio le scarse infrastrutture stradali ed i limitati servizi di trasporto pubblico, inferiori rispetto agli standard internazionali. In particolare proprio il settore abitativo era uno dei più arretrati, soprattutto in rapporto alle nuove esigenze demografiche, con una popolazione in crescita non più emigrante e per di più arricchita, quindi con esigenze abitative maggiori. Il livello di superfici delle case e di spazio domestico per famiglia era negli anni Novanta il più basso di tutta l’Unione europea. Soprattutto i giovani, i più avvantaggiati dal boom, avevano maggiori esigenze abitative. Con l’aumento dell’occupazione e dei salari, questi si trovavano presto nella possibilità di acquistare una casa. Ciò, unito all’arretratezza e alla limitatezza abitativa dell’isola, portò il paese ad un boom edilizio senza precedenti. Nuove case e nuovi quartieri furono costruiti in pochissimi anni. Basti pensare che nel 1991 c’erano 1,2 milioni di abitazioni in Irlanda, gradualmente aumentate a 1,4 milioni nel 2000, e arrivate durante il boom edilizio a 1,9 milioni nel 2008, praticamente quasi raddoppiate in 17 anni. È chiaro che anche i prezzi delle case e delle rendite immobiliari si sono mossi proporzionalmente, più che raddoppiando negli stessi anni. Il "mattone" è diventato un settore fondamentale dell’economia. Da qui si sviluppa il boom immobiliare e la successiva bolla speculativa conosciuta come Irish property bubble. Con un’economia in costante crescita e in permanente piena occupazione, molti dei lavoratori impiegati nel settore edile venivano dall’estero, in particolare dai nuovi paesi orientali della Ue (e.g. Polonia). Essi costituivano il primo nucleo di immigrati in Irlanda.
Nell’anno 2007 il settore edilizio-immobiliare occupava il 13,3% della forza-lavoro, il più alto dei paesi membri del OSCE. Ad esclusione della Spagna e Portogallo era di 5 punti percentuali più alto della media dei paesi OSCE stessi.
Data l’alta redditività ed i facili crediti ottenuti dal settore bancario, il mercato immobiliare si era scaldato molto velocemente dopo il 2000, portando ad una crescita dell’offerta smisurata; proprio questa crescita è stata capace, in una prima fase intorno al 1995, di mantenere i prezzi relativamente contenuti nonostante la fortissima domanda nel mercato immobiliare. In una seconda fase, la costante accelerazione nella crescita della domanda di abitazioni, supportata da una riduzione delle imposte sul reddito, portò ad una situazione di squilibrio del mercato. Il risultato di tutto questo era una forte crescita dei fabbricati e dei prezzi con un’economia sempre di più dipendente dal settore edilizio. La bolla speculativa aveva sganciato i prezzi - nel periodo 1997-2007 - da qualsiasi variabile macroeconomica reale.
Questa significativa sopravvalutazione superò il 30% intorno al 2006-2007.
Mettendo insieme i tasselli, possiamo concludere che le cause che portarono allo scoppio della bolla speculativa furono essenzialmente il sopravvalutato valore immobiliare delle abitazioni, il lento declino della crescita demografica dopo il 2000 (quindi in prospettiva il conseguente declino della domanda), ed infine la troppo ottimistica visione circa le prospettive di continua crescita dell’economia irlandese. A tutto ciò va coniugata la forte partecipazione alla speculazione degli istituti bancari irlandesi, oltre ad evidenti errori e ritardi nella gestione politica. La politica è sembra disinteressata e inetta rispetto al mercato immobiliare, a giudicare dai rari ed inefficaci tentativi di raffreddarlo.
Dopo il tonfo dei prezzi seguito alla scoppio della bolla, la crisi è andata ad intaccare il settore bancario e finanziario, quando nel 2008 è iniziata la crisi finanziaria globale.
Interessante è notare che in Irlanda, nonostante la presenza di numerosi istituti finanziari d’investimento internazionali, quei complessi strumenti finanziari detti Mortgage Backed Securities non erano molto diffusi e non hanno quasi preso parte alla crisi bancaria dell’isola: la crisi delle banche irlandesi è stata per lo più un fenomeno legato alla mancanza di controllo e regolamentazione interna sulle concessioni di credito da parte delle banche.
Nel caso irlandese, la scarsa attenzione ha riguardato soprattutto la mancata applicazione delle raccomandazioni contenute nel protocollo di Basilea II circa la vigilanza sulle banche, in relazione alla concentrazione di rischio di credito.
Prestando a interessi minimi e senza reali garanzie, negli anni del boom le banche hanno ingozzato l’economia e gli irlandesi di mutui e di debiti; al sopraggiungere della crisi e della flessione del prezzo delle case, migliaia di debitori si sono scoperti insolventi: è crisi bancaria. Così il governo di Dublino dopo alcuni tentennamenti, annunciò una ricapitalizzazione da 10 miliardi di euro delle maggiori banche; a fine settembre l’Irlanda è stata uno dei primi paesi a intervenire per arginare la crisi finanziaria annunciando che il Governo avrebbe garantito tutti i depositi bancari per due anni, per una cifra potenziale di 440 miliardi di euro. La notizia ha inizialmente fatto volare i titoli delle banche irlandesi dopo forti ribassi, ma le critiche degli analisti sulla mancanza di dettagli del piano hanno poi frenato i rialzi. La principale azione in tal senso è stata - all'inizio del 2009 - la nazionalizzazione della Anglo Irish Bank, il terzo istituto di credito in Irlanda, nonchè quello maggiormente esposto nel Irish property bubble.
Le conseguenze della crisi susseguitesi nei mesi del 2009 sono state aspre: una recessione al -7,5%; un tasso di disoccupazione al 13,8% nel 2009 (12,5% nel marzo 2010); deflazione al 6,5% nello stesso 2009; un aumento del deficit pubblico da 33,6 miliardi di euro a 40,46 miliardi di euro, per fortuna contenuto da un rapporto debito-PIL del 63,7%, dato il già livello basso pre-crisi. In risposta, lo Stato si è impegnato a tagliare la spesa pubblica per una quota da primato, tra il 15% e il 20% entro il 2014, prospettando difficili scenari per tantissimi cittadini che si trovano nelle fasce più disagiate della società.

Conclusione

Qualcosa si può imparare osservando la situazione irlandese.
In prima analisi la crisi in Irlanda mostra i limiti del sistema finanziario: esso è troppo facilmente soggetto a spirali speculative quando si lo surriscalda eccessivamente. In seconda battuta il sistema bancario, nell’offrire credito alla mole degli investitori e piccoli risparmiatori, tende a sottovalutare il reale rischio degli investimenti. Preso spesso da una miope euforia creditizia, valuta il rischio su basi troppo di breve periodo. Su questo punto occorrono regole più chiare ed incisive. Terzo punto: anche gli agenti economici ed i policy makers cadono troppo facilmente in una situazione di illusione miope circa l’andamento economico, basata su un eccesso di fiducia sulla durevolezza di una crescita - soprattutto se è una crescita con “tassi asiatici”, come lo è stata quella irlandese. Complessivamente si nota la forte tendenza in molti paesi, soprattutto in quelli che fino a ieri si trovavano al margine della vita economica mondiale ed europea, ad attuare politiche opportunistiche mirate al reperimento di ingenti capitali e ad una forte e rapida crescita in poco tempo. Una maggiore attenzione delle dinamiche complessive macroeconomiche e migliori politiche di raffreddamento di spirali speculative sarebbero un mezzo per prevenire meglio, o almeno limitare, gli effetti dannosi di crisi inaspettate come quella irlandese.

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sabato 15 maggio 2010

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LA GRECIA PER SALVARE L ECONOMIA MEGLIO USCIRE DALL 'EURO

Un decennio fa l’introduzione dell’euro, la valuta corrente di 16 dei 27 Paesi dell’Ue, fu una decisione politica, non monetaria. Quando venne introdotta la nuova moneta, nel 1999, il premio Nobel Milton Friedman scrisse al suo amico, l’economista italiano Antonio Martino: “Come sai, sono molto scettico sull’euro e molto dubbioso su sul suo futuro funzionamento. Tuttavia, sono meno pessimista di quanto lo fossi prima semplicemente perché non mi sarei mai aspettato che i vari Paesi avrebbero dimostrato di avere il tipo di disciplina che era richiesta per rientrare nell’euro”.

I problemi derivanti dalla recente crisi economica hanno avuto un effetto negativo sulla Grecia, uno dei paesi dell’Eurozona. Gli analisti dubitano che il governo di Atene sia capace o si sforzi di trovare una soluzione dei problemi finanziari che hanno colpito il Paese. Se non ce la farà, le altre 15 nazioni che adottano l’euro ne pagheranno le conseguenze, una ipotesi che non sembrano accettare con piacevolmente. Thomas Mayer, chief economist della Deutsche Bank, la settimana scorsa è intervenuto per dare un avvertimento: "La situazione è più seria che mai, da quando è stato introdotto l’euro. (…) Se la situazione in Grecia dovesse prendere una piega negativa, l'Eurozona potrebbe crollare, o affrontare una considerevole inflazione”.

I problemi dell’euro influiscono sul mondo intero. La valuta UE non è stata introdotta a causa di considerazioni economiche, ma perché l’Unione Europea pretende di essere un autentico Stato e da uno Stato ci si aspetterebbe che abbia una singola valuta nazionale. Sperando di trasformarsi in una forza politica potente, l'Unione ha adottato l'euro come valuta corrente di circa 327 milione di persone, di modo che il suo potere economico attuale possa essere percepito come una prefigurazione del suo prossimo potere politico.

L'Eurozona rappresenta la seconda maggiore economia nel mondo. Durante lo scorso decennio, l’euro è diventato la seconda valuta di riserva dopo il dollaro. Con banconote e monete in circolazione per più di 790 miliardi di euro, l’euro ha superato la circolazione del dollaro. L’euro sembra essere molto forte, rispetto al dollaro, alla sterlina inglese e ad altre valute in drammatica caduta se paragonate ad esso – una delle cause dei problemi che sta vivendo la Grecia. Il turismo è uno dei settori trainanti dell’economia greca. Per i turisti che provengono dall’esterno della Eurozona, come americani e britannici, la Grecia è diventata una meta troppo cara per le vacanze. L’anno scorso, quando la crisi economica ha colpito anche l’Europa, e il numero di cittadini europei, come gli italiani, che erano soliti andare in Grecia, si è notevolmente ridotto, l’economia greca è collassata e il governo non è stato più in grado di coprire il debito pubblico del Paese.

Con la Grecia che si trova ad affrontare la bancarotta, le paure legate alla situazione finanziaria di Atene hanno condotto verso una svalutazione dell’euro. La scorsa settimana, i ministri delle finanze di Germania e Olanda – i due Paesi della Eurozona che prima dell’euro avevano la valuta più forte in Europa (il marco tedesco e il fiorino olandese) – hanno annunciate che non aiuteranno la Grecia a risolvere i suoi problemi. I sondaggi indicano che il 70% dei tedeschi è contrario a usare le proprie tasse per un “bailout” destinato ad altri Paesi. Malgrado la propaganda della UE secondo cui i cittadini europei condividerebbero un’identità nazionale comune, questo semplicemente non è vero. Come sottolineava un editoriale della edizione tedesca del Financial Times non più tardi del mese scorso: “La Spagna crede in ‘più Europa’. Non si può più essere certi che possiamo dire lo stesso della Germania”.

Anche l'economia tedesca è stata colpita dagli effetti negativi della crisi. L'anno scorso il PIL tedesco è sceso del 5 per cento, il più grande calo dal Dopoguerra, con una perdita del 15 per cento nelle esportazioni e del 20 per cento nella vendita di beni prodotti in Germania. I tedeschi non sono quindi pronti a risollevare, a proprie spese, Paesi come Grecia, Romania, Spagna, Portogallo e Irlanda dalla recessione. C’è inoltre molta rabbia verso i Greci da parte degli altri Paesi UE: sembra che per alcuni anni la Grecia abbia “coperto” le sue performance economiche negative presentando ufficialmente un quadro economico migliore rispetto a quello reale. Per questo la promessa del governo greco di ridurre il disavanzo di bilancio dal 12.7 per cento del PIL nel 2009 al 2.8 per cento nel 2012 è stata presa con scetticismo. Molti dubitano che il governo di Atene sarà abbastanza forte da resistere alle pressioni interne dei potenti sindacati contrari agli sforzi diretti verso un taglio radicale del deficit di cui c'è bisogno, mentre altri dubitano che i Greci eviteranno di manipolare nuovamente i dati economici.

La riluttanza ad aiutare i Greci è enorme all'interno di una Eurozona che attualmente si trova ad affrontare un tasso di disoccupazione del 10 per cento, il dato più elevato da quando 11 anni fa è stato introdotto l’euro. Secondo le regole della UE, comunque, tutti i 27 stati membri – e non solo i 16 che fanno parte dell’Unione – sono obbligati ad aiutare i Greci se l'UE deciderà di concedergli un prestito. L'articolo 122 del Trattato della Unione, che è entrato in vigore nel dicembre scorso, recita: “Quando uno stato membro è in difficoltà o è seriamente minacciato da difficoltà causate da disastri naturali o avvenimenti eccezionali fuori controllo, il Consiglio dei Ministri, su proposta della Commissione Europea, può assegnare, in determinate circostanze, l’assistenza finanziaria da parte dell’Unione”.

Questa decisione è presa tramite un voto di maggioranza. Di conseguenza la Gran Bretagna, che ha sempre rifiutato di aderire all’Eurozona, in teoria potrebbe essere costretta ad aiutare a salvare l'euro. La stampa britannica ha già segnalato che, se al fondo di salvataggio UE per la Grecia si abbinerà il disavanzo del bilancio greco, e l'UE decidesse che gli stati membri debbano contribuire ognuno secondo la propria parte al totale della economia UE, la Gran Bretagna potrebbe essere costretta a pagare un conto di 7 miliardi di sterline per il “bailout” della Grecia, o forse anche di più, se altri Paesi europei in via di bancarotta, come la Spagna, saranno esentati da questa contribuzione condivisa.

Gli euroscettici britannici temono che se la Grecia, che rappresenta 3 per cento del PIL della UE, riceverà un prestito, altri Paesi dell’area euro che affrontano difficoltà finanziarie (come Spagna, Portogallo e Italia) potrebbero esigere lo stesso trattamento. Questo, dicono, caricherebbe la Gran Bretagna di una “tassa” pari 50 miliardi di sterline per salvare una valuta in cui i Britannici non hanno mai creduto. Anche se l'opinione pubblica europea si oppone a al piano di “bailout” per i greci, Irwin Stelzer ha scritto recentemente sul Wall Street Journal di aspettarsi che i politici europei presentino un piano: “C’è così tanto capitale politico investito sull’euro dalla classe politica – ha scritto Stelzer – che persino la parsimoniosa cancelliera tedesca Angela Merkel alla fine vorrà contribuire con dei prestiti se necessario”.

Tuttavia ci sono indicazioni anche in senso opposto. I politici greci potrebbero ritenere che l'unico modo per scongiurare il malcontento sociale in patria potrebbe essere quello di abbandonare l'euro e ristabilire la loro propria valuta nazionale, la dracma greca. Questo permetterebbe al governo di Atene di svalutare la valuta corrente al fine di stimolare le esportazioni e lo sviluppo economico – una mossa politico-monetaria che ad Atene resta da giocarsi per rimanere nella Eurozona. Sembra che qualcuno che controlla l'euro, alla Banca Centrale Europea (Bce), sia favorevole a questa mossa.

Il 17 gennaio scorso, Ambrose Evans-Pritchard ha scritto sul “London Daily Telegraph” che al quartier generale della Bce a Francoforte si sta preparando il terreno legale per il break-up dall’euro. Tuttavia, un problema maggiore sembra essere quello per cui, una volta accettato l'euro, un Paese non possa liberarsene a meno di lasciare questa moneta tout court. “Questo è un avvertimento per la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda e la Spagna. Se falliranno nell'organizzare una politica di sostegno pubblico verso una austerità draconiana, rischiano di essere gettati nell'oblio islandese”. Oltre a Gran-Bretagna e Danimarca, due Paesi che hanno ottenuto l’opzione di non partecipare ai trattati della UE, tutti gli stati membri sono obbligati a entrare nell’eurozona oppure a “fissare” le loro valute ad esso. L'ex analista del FMI, Desmond Lachman, citato nel warning di CityAM, ha detto: “Ci sono tutte le possibilità per cui entro due o tre anni… lo status di stato membro della Grecia potrebbe interrompersi con un botto”.

Evans-Pritchard, tuttavia, segnala che il punto di vista dominante nei circoli finanziari londinesi sembra essere quello per cui “se alla fine sarà necessario un salvataggio (il bailout della Grecia), allora bisognerà trovare qualche forma di salvataggio…”. Questa è una scommessa, ha detto Evans-Pritchard, e Berlino farà “quello che già faceva per la Germania Est: sussidi per sempre. E’ sarà anche un giudizio sull’EMU (Economic and Monetary Union), se sia la moneta vincolante di una sacra solidarietà oppure semplicemente un sistema di tasso di cambi fissi come altri che lo hanno preceduto. Sarà la politica a deciderlo”.

Tutto ciò ci riporta a Milton Friedman: quando i politici decidono di regolare le questioni economiche e monetarie, i risultati di solito sono catastrofici
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giovedì 6 maggio 2010

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Crisi Grecia, attacco alle banche italiane

Panico a Wall Street, poi perde il 3%
Piazza Affari giù del 4%. Moody's: gli istituti italiani potrebbero essere colpiti. Ma Bankitalia rassicura. Berlusconi: le agenzie di rating hanno perso credibilità. Tremonti: nessuno è immune. Scivola l'euro ROMA (6 maggio) - I timori di un contagio della crisi greca affondano le Borse: Milano ha perso il 4%, mentre Wall Street, in uno dei giorni più turbolenti della storia, è arrivata a perdere quasi il 10%, per poi chiudere con un -3%.

«Nessuno è immune dai rischi perché passeggero con biglietto di prima classe.L'estensione della crisi è sistemica e la soluzione può essere solo comune e politica», ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

La nube della speculazione continua dunque a intossicare l'Europa e dopo la Spagna e il Portogallo, colpite nei giorni scorsi dai timori di infezione della crisi greca, oggi è toccato all'Italia essere contagiata dalla paura. Piazza Affari ha chiuso in calo del 4,2% mentre la forbice dei rendimenti tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi si è ulteriormente allargata. L'euro è sceso a 1,25 dollari. Una reazione dei mercati che fonti della Banca d'Italia, in serata, hanno definito «ingiustificata».

A Piazza Affari banche in picchiata. L'attacco agli istituti italiani è partito dopo un report di Moody's che ha allineato le banche del nostro Paese a quelle spagnole, portoghesi, irlandesi e della Gran Bretagna: tutte considerate a rischio di contagio. Intesa Sanpaolo e Unicredit sono arrivate a perdere oltre il 10%, chiudendo con cali intorno al 7%. I ribassi dei titoli del credito hanno fatto crollare l'indice Ftse Mib dei titoli principali, che ha perso il 4,27% tornando così sui livelli dell'estate 2009. Arretrano anche Madrid (-3,27%) e Parigi (-2,14%), mentre Londra cede l'1,52%.



Il crollo di Wall Street, voci di errori tecnici. Il Dow Jones, dopo una breve ma violenta picchiata che l'ha portato a lasciare sul terreno fino a 998 punti, pari a quasi il 10%, ha chiuso con un calo del 3%. A spingere giù gli indici i timori che la crisi greca possa interrompere la ripresa dell'economia globale. Si sono poi diffuse voci secondo le quali alcuni errori tecnici potrebbero aver accelerato le vendite. Nessun errore del sistema durante il crollo e la successiva parziale risalita del Dow Jones, ha affermato però il Nyse, la società che gestisce il mercato americano.

Il Dow Jones ha perso 700 punti in 15 minuti e ne ha guadagnati 600 nei successivi 20 minuti. Citigroup sarebbe la società che potrebbe aver creato il crollo degli indici. La grande azienda di servizi finanziari - riporta l'emittente televisiva Cnbc - «sta indagando su potenziali scambi errati». Secondo indiscrezioni circolate in precedenza, all'origine del tonfo sarebbe stato invece il gruppo di beni di consumo Procter & Gamble.

L'euro scivola sotto quota 1,26. Anche oggi l'euro ha proseguito la sua corsa al ribasso. La moneta unica è scesa anche sotto la soglia di 1,26 dollari, con un minimo di seduta di 1,2551 dollari. Non accedeva dal 10 marzo 2009.

Moody's: rischio contagio anche per l'Italia, ma poi conferma rating. Moody's, in un rapporto diffuso stamattina, ha lanciato l'allarme: la crisi finanziaria della Grecia rappresenta un rischio di contagio importante per i sistemi bancari di diversi Paesi europei. Secondo Moody's i Paesi più a rischio di contagio sono il Portogallo, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda e la Gran Bretagna. L'agenzia di valutazione del debito in serata ha tuttavia confermato la valutazione assegnata al debito italiano "AA2" e confermato anche le prospettive, definite «stabili».

«Banche italiane robuste, ma non immuni». «L'Italia è uno dei Paesi dove il sistema bancario è stato sino a oggi relativamente robusto», ma dove c'è comunque un rischio di contagio se «le pressioni dei mercati sui "rating sovrani" aumenterà», sottolinea Moody's nel rapporto sul sistema bancario europeo. Nello studio si sottolinea poi come il sistema bancario italiano abbia accusato meno di altri lo scoppio della "bolla immobiliare" e di quella dei derivati.

L'Italia non rischia il contagio della crisi che ha colpito la Grecia, afferma invece l'agenzia di rating Fitch che, esaminando i dati relativi al sistema Italia, mantiene un giudizio inalterato giudicando positivamente l'operato degli istituti bancari. «Il rating della nostra agenzia sul debito sovrano italiano -spiega all'agenzia Adnkronos Christian Scarafia, senior director nel gruppo financial institutions di Fitch Italia - è di "AA-", con un andamento stabile per
il prossimo futuro». Secondo Fitch «le banche italiane hanno saputo reagire bene, grazie soprattutto ad un modello di business tradizionale basato principalmente sulla raccolta tra la clientela».

Bankitalia: le banche italiane sono robuste. «Il sistema bancario italiano è robusto - hanno commentato fonti di Bankitalia -. Il deficit di parte corrente è basso, il risparmio è alto, il debito complessivo di famiglie, imprese e Stato è basso rispetto ad altri Paesi, il debito netto nei confronti dell'estero è basso. Tutto ciò rende il caso dell'Italia diverso da quello di altri Paesi».

La reazione mercati «è del tutto ingiustificata. L'esposizione delle banche italiane verso la Grecia è pari allo 0,2% del totale delle attività del nostro intero sistema», hanno poi sottolineato ancora in serata fonti della Banca d'Italia.

«Il sistema bancario italiano dispone di una quantità di titoli stanziabili sufficiente a fronteggiare eventuali tensioni, anche di notevole intensità, sui mercati interbancario e della provvista all'ingrosso», hanno aggiunto le fonti della Banca d'Italia, spiegando inoltre come nel comparto bancario «la posizione netta di liquidità è andata migliorando nel corso degli ultimi mesi».

Le agenzie di rating ormai hanno perso credibilità: bisogna intervenire per regolare la loro attività. E' l'opinione del premier Silvio Berlusconi, che parlando con alcuni dei suoi più stretti collaboratori, ha dato un giudizio severo sulle agenzie internazionali che giudicano la solidità dei sistemi economici degli Stati. Il rigore dei conti resta la priorità, ha poi ribadito il premier.

Merkel e Sarkozy alla Ue: salvare l'euro. Merkel e Sarkozy hanno scritto una lettera congiunta in cui chiedono a Bruxelles il rafforzamento della governance economica europea per salvare l'euro. Merkel e Sarkozy vogliono rafforzare la sorveglianza sui conti pubblici della zona euro e dotare i sedici Paesi membri di un «robusto quadro» di gestione della crisi. La lettera è pubblicata dal quotidiano francese Le Monde.

«Siamo convinti che non ci sarà un default della Grecia». Lo ha detto il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, sottolineando che il Consiglio direttivo della banca centrale di Eurolandia - che oggi ha lasciato invariati i tassi - «si congratula del piano greco adottato al termine di trattative con la Commissione Europea e l'Fmi e che permetterà di garantire la stabilità finanziaria della zona euro». «Non abbiamo mai discusso in alcun modo un'ipotesi di procedura di default di stati di Eurolandia», ha aggiunto Trichet.

Tremonti: venerdì ok a decreto aiuti da 5,5 miliardi. «La nostra quota nel pacchetto di sostegno è il 18,4% per cento del totale europeo, pari inizialmente a 5,5 miliardi. Il decreto legge che sarà approvato domani dal Consiglio dei ministri ci consente di intervenire in modo flessibile con emissioni a medio/lungo termine e anticipazioni di tesoreria», ha precisato il ministro dell'Economia.




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PETROLIO CROLLA A NEW YORK

Petrolio crolla a New York: -6,7%
Greggio quotato 74,58 dollari, vola l'oro a 1.205,80 dollari Tonfo del petrolio che, a New York, cede il 6,7% a 74,58 dollari al barile. Vola invece l'oro a 1.205,80 dollari. Gia' la chiusura ufficiale aveva fatto segnare un deciso calo per il greggio, che a fine seduta era sceso del 3,5%. Lo scivolone si e' configurato gradualmente lungo tutto l'arco della seduta. Gia' a meta' pomeriggio l'oro nero cedeva l'1,7% sulle quotazioni di ieri.

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mercoledì 5 maggio 2010

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Tamoil e Total rincari

Dopo gli aumenti resi noti ieri dalle altre compagnie, la prima ha ritoccato di 0,5 centesimi il prezzo della verde, la seconda di 0,7 centesimi il solo diesel ROMA - Nuovi aggiustamenti al rialzo sulla rete carburanti. Dal consueto monitoraggio di quotidianoenergia.it emerge, infatti, che da questa mattina Tamoil ha ritoccato al rialzo di 0,5 centesimi il prezzo di riferimento della benzina, salendo così a 1,441 euro/litro. Total, invece, ha aumentato di 0,7 centesimi il solo diesel portandosi a 1,286 euro/litro.
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FESTA DELLA MAMMA IN ITALIA MOLTA POVERTA'

Oltre 1,6 milioni di mamme italiane sono povere. L'Afghanistan, invece, e' quello dove le madri stanno peggio. Lo rileva Save the Children. Secondo l'11/mo 'Rapporto sullo Stato delle Madri nel mondo', la condizione delle madri nel mondo non gode ancora di ottima salute. Nel nostro paese, ad esempio, oltre 1,6 milioni sono povere e un milione ha un figlio piccolo ed ha serie difficolta' ad arrivare a fine mese. Nel rapporto l'Italia si colloca al 17/mo posto su 160.

La poverta' e' quindi il problema delle mamme e dei figli italiani e la situazione piu' grave e' vissuta delle madri sole con almeno un figlio minore: il 44% arriva a fine mese 'con molte difficolta'', il 31% e' in arretrato con le bollette, il 25% non ha i soldi per le spese mediche, il 21% per le spese scolastiche. Ma anche il 15,4% delle coppie con un bambino con meno di 18 anni - segnala il rapporto - vive in poverta'. Save the children ribadisce inoltre che la maternita' puo' diventare causa di poverta'. E il divario occupazionale cresce all'aumentare del numero dei figli. Il rapporto prende in considerazione anche la condizione delle madri nel mondo. Cinquanta milioni di donne partoriscono senza assistenza; quasi 350 mila perdono la vita per la gravidanza e il parto. Questi alcuni dei dati principali da cui emerge anche che l'Afghanistan e' il paese dove le madri e i bambini stanno peggio, la Norvegia quello in cui stanno meglio. Il rapporto ricorda inoltre che grazie a poche misure semplici e a basso costo, come l'assistenza specializzata al momento del parto e vaccini, molti delle circa 250.000 donne e 5.5 milioni di bambini che oggi muoiono, potrebbero salvarsi.

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martedì 4 maggio 2010

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La Crisi colpisce anche la festa della mamma

Precarietà del lavoro e problemi economici sono il maggiore ostacolo al desiderio di avere figli secondo uno studio della Fondazione "L'albero della Vita", che per la Festa della Mamma, scende in piazza per aiutare le madri in difficoltà
. Piante, fiori e cioccolatini. Anche quest'anno, per le mamme d'Italia arriveranno in dono i regali più amati. Per tutte loro oggi è un giorno di festa, anche se, in tempi di crisi, essere madri è diventato davvero un impegno difficile. A ricordarlo è uno studio della fondazione "L'albero della Vita", nata con l'obiettivo di tutelare i diritti delle mamme in situazione di disagio sociale. Secondo la ricerca, carriera e problemi economici non hanno ancora fermato il desiderio di avere dei figli, ma nove donne su dieci hanno posticipato la maternità per problemi legati al lavoro e ai soldi.
Piante, fiori e cioccolatini. Anche quest'anno, per le mamme d'Italia arriveranno in dono i regali più amati. Per tutte loro oggi è un giorno di festa, anche se, in tempi di crisi, essere madri è diventato davvero un impegno difficile. A ricordarlo è uno studio della fondazione "L'albero della Vita", nata con l'obiettivo di tutelare i diritti delle mamme in situazione di disagio sociale. Secondo la ricerca, carriera e problemi economici non hanno ancora fermato il desiderio di avere dei figli, ma nove donne su dieci hanno posticipato la maternità per problemi legati al lavoro e ai soldi.
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Anche i meccanici sentono la Crisi

Gli incentivi per la rottamazione e la crisi economica colpiscono anche i meccanici di fiducia, i gommisti e i carrozzieri. Secondo i dati elaborati da Aira (Associazione autoriparatori) e Cna di Massa Carrara (che conta oltre 500 attività del settore fra cui anche elettrauti e centri revisione) le riparazioni da parte degli . automobilisti sono calate del 20%, a causa degli sconti per la rottamazione che hanno spinto i proprietari delle vetture a comprare l’auto nuova piuttosto che a riparare la vecchia.
E a peggiorare la situazione ha contribuito anche la crisi economica che ha costretto gli automobilisti a rimandare i tagliandi delle vetture e ad abolire del tutto la manutenzione ordinaria come il tradizionale cambio dell’olio e il check-up delle gomme.
“È innegabile - analizza Leonardo Lazzoni, presidente Aira-Cna - che la crisi si fa sentire anche per noi. C'è un calo del lavoro, dalle piccole manutenzioni a quelle ordinarie in tutti i settori dell'autoriparazione. La colpa? Un po’ degli incentivi che ringiovaniscono il parco auto togliendo dalla circolazione le auto più vecchie, quelle che solitamente si riparano con più frequenza, e dall'altro la crisi che porta le famiglie verso il meccanico di fiducia solo quando l'auto non ne può fare a meno. Prima il tagliando annuale era la regola. Era un po’ come la visita medica. Oggi l'auto non deve partire per portarla da noi”.
A esser colpiti non solo i meccanici, ma anche i gommisti. Prima di cambiare i pneumatici infatti, l’automobilista oggi, valuta la scelta con oculatezza, per evitare o comunque cercare di procrastinare la spesa da dover sostenere. “Le persone - continua Lazzoni - chiedono quanti chilometri possono fare con le gomme e le portano sino al limite. In tanti inoltre chiedono pneumatici usati: sintomi evidenti di un malessere generale che noi, gli autoriparatori, tocchiamo da vicino ogni giorno”.
Per contrastare questo fenomeno e discutere di quali strade percorrere per risolverlo la Cna ha organizzato un seminario sabato 17 ottobre ad Avenza.
“La nostra categoria è in affanno - conclude il presidente Aira-Cna - e mai come oggi serve fare quadrato per cercare di trovare insieme soluzioni tampone per passare oltre questi difficili mesi. Il seminario sarà anche l'occasione per aggiornare i colleghi sugli aspetti della responsabilità civile e penale che li riguarda da vicino, ma anche per sensibilizzare gli addetti a mantenere standard qualitativi elevati per reggere la crisi”.
di Lorenzo Stracquadanio
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lunedì 3 maggio 2010

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viaggi in caduta, specie al Sud

Il settore del turismo archivia un 2009 da dimenticare. Il numero di viaggi degli italiani è calato dell'8%, tra vacanze e affari con un picco del -8,3% nel comparto leisure che pesa per l'86,6% sul totale, dovuto alla flessione dell'11,6% registrata dalle vacanze brevi, mentre quelle con almeno quattro pernottamenti si mantengono sostanzialmente stabili. La fotografia arriva dall'indagine «Viaggi e vacanze in Italia e all'estero 2009» dell'Istat. A soffrire di più gli spostamenti con destinazioni italiane (-9,4%) con una contrazione particolarmente marcata nel Sud (-19,7%) dove diminuiscono sia le vacanze brevi (-25,3%) sia quelle lunghe (-17,5%).

Alla contrazione delle vacanze corrisponde una flessione ancora più pesante dei ricavi di tour operator, albergatori e agenzie di viaggio registrare cali dal 10% al 35 per cento. Ma il 2010 dovrebbe segnare un leggero recupero, secondo le previsioni dell'Isnart-Unioncamere che oggi alla Bit, alla fiera di Milano-Rho fino al 21 febbraio, presenta il rapporto annuale «Turismo in pillole» di cui Il Sole 24 Ore dà un'anticipazione.

«Per contrastare le conseguenze della crisi economica – spiega Flavia Maria Coccia, direttore operativo di Isnart –, il comparto del ricettivo alberghiero ha agito fortemente sulla leva dei prezzi abbassandoli dell'8,8%: ciò ha fatto sì che, dal -4,3% di vendite di camere che si prospettava a fine estate, si chiuda l'anno con un 3,1%». Una politica che ha mantenuto alta la capacità di attrazione delle destinazioni italiane «ma che ha inciso sul fatturato delle imprese, con una perdita stimata sul fatturato del -11%» continua Coccia. A calare, oltre ai fatturati degli operatori turistici, anche quelli di altri settori, basti pensare che tra vitto, alloggio, shopping e attività ricreative (cultura e divertimenti) gli italiani in vacanza hanno speso 2 miliardi in meno rispetto al 2008 per un totale di 75 miliardi.

Per il 2010 l'Isnart prevede una ripresa dei viaggi all'estero (4,9 milioni di italiani contro i 2,6 milioni dell'anno scorso) per un totale di 14 milioni che partiranno rispetto ai 10,8 milioni del 2009. «Per le prossime vacanze – conclude Coccia – gli italiani spenderanno 11,1 miliardi di euro di cui 5,4 miliardi resteranno in Italia con una previsione di spesa media pro-capite di 647 euro».

Le flessioni registrate nel 2009 dal settore turistico non sono così gravi rispetto alle perdite che hanno interessato altri comparti come l'industria o l'abbigliamento, secondo Enrico Finzi, presidente di Astra-Demoskopea. «Il settore ha perso poco e meno di quanto si pensa – spiega il sociologo – perché l'Istat non tiene conto di canali come il turismo religioso che è in forte crescita e i microviaggi. La tendenza degli ultimi anni a una riduzione della durata della vacanza è stata acuita dalla crisi che ha riportato in auge la gita fuori porta in giornata o con una sola notte in albergo, nelle seconde case o ospiti di amici e parenti. Viaggi che non sono mediati da agenzie o tour operator e sfuggono alle rilevazioni ufficiali. Ma questo non significa che la gente non va in vacanza e non spende».

Certo la crisi c'è e si fa sentire e il Sud è il più colpito, continua Finzi. «È più lontano e difficile da raggiungere, ha una minore capacità di ospitalità, infrastrutture peggiori del resto d'Italia e meno servizi. Senza dimenticare i tagli ai voli su Brindisi fatti da Alitalia che hanno penalizzato il Salento. Basti pensare invece ad aree che hanno tenuto come l'alto Adriatico e il Garda: sono capaci di fare sistema e marketing. Stesso discorso per le crociere capaci di offrire soluzioni per target diversi con un altissimo rapporto tra prezzo e qualità percepito dal pubblico».

Meno ottimisti invece gli operatori del settore. «Il tema vero – commenta Andrea Giannetti, presidente di Assotravel – non è tanto la riduzione del numero di viaggi che è comunque preoccupante ma non quanto la flessione dei ricavi, fra il 30 e il 35%, che le nostre agenzie hanno registrato». La crisi non è per nulla finita, secondo il presidente di Assoturismo-Confesercenti, Claudio Albonetti: «La vera preoccupazione è come incentivare una stagione turistica estiva che potrebbe essere segnata da una ulteriore flessione rispetto al 2009». Chiede incentivi per il settore Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi-Confturismo: «Il 2009 è stato un anno assolutamente negativo per il turismo. Ci dispiace però non essere presenti mai nei settori da aiutare e sostenere».



IN DIMINUZIONE IL NUMERO DEGLI SPOSTAMENTI

Nel 2009 sono 113 milioni e 46mila i viaggi della popolazione residente: rispetto al valore rilevato nel 2008 la flessione risulta dell'8%; quelli effettuati per vacanza sono l'86,6%, mentre il restante 13,4% è effettuato per ragioni di lavoro

Calano nel 2009 le notti trascorse fuori casa (pari a 676 milioni e 244mila, con una flessione dell'8% sul 2008); in termini di pernottamenti, il 91% delle notti viene speso in occasione di viaggi di vacanza e l'8,4% per i viaggi di lavoro

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MECCANICI E' CRISI

MENTRE il mercato dell' auto crolla, Autopromotec 2010 apre i battenti armata di fiducia, sperando nella ripresa di un settore che con la crisi potrebbe fare qualche affare in più. Perché se ora la macchina nuova è un lusso, si deve pur pensare a mantenere quella vecchia. La 23esima fiera biennale delle attrezzature e servizi legati all' industria dell' auto, al via domani, si conferma anche quest' anno evento di punta del comparto: strizzando l' occhio a carburanti ecologici e innovazione, incassa qualche decina di espositori in più e spera nel record di visitatori. «In questo momento l' aumento delle presenze è una grande soddisfazione - spiega Renzo Servadei, amministratore delegato di Promotec, società che organizza la rassegna - il nostro è un settore anticiclico, con un ritardo di circa 6-7 mesi sulla crisi delle vendite auto: prima di andare dal carrozziere per un graffietto, si aspetta comunque di averne qualcuno in più». Un mercato, quello di meccanici, elettrauto e gommisti, che reagisce infatti in maniera complessa alla crisi. «Il calo c' è - continua Servadei - soprattutto per le flotte dei camion: girano di meno e ne risentono le manutenzioni. Ma prevediamo un risveglio per la seconda metà dell' anno». Con tre padiglioni in più e l' intera area 48 dedicata al mondo dell' autolavaggio, protagonista ad Autoprometec 2009 sarà l' ambiente: «La grande novità è l' ampio spazio ai carburanti alternativi come gas, metano e Gpl, settori chiave per l' immediato futuro- conclude l' ad di Promotec - cercheremo di stimolare gli operatori con dimostrazioni "a cofano aperto" sugli ultimi sistemi di diagnostica e sicurezza». Quasi un corso di aggiornamento attraverso la mostra "Futurmotive", che illustrerà le tecnologie più avanzate del settore. Durante la manifestazione sarà presentata anche la nuova associazione "Assoruote", che avrà sedea Bologna e che riunirà i produttori di cerchi per pneumatici.

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Auto: mercato precipita ad aprile, -15,6


Il mercato dell'auto in Italia precipita ad aprile a causa dell'esaurirsi della coda degli incentivi 2009 segnando un calo del 15,65%.
Le immatricolazioni, infatti, il mese scorso, sono ammontate a 159.971 unita'. Lo rende noto il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. A marzo le immatricolazioni avevano registrato un balzo del 19,61%. Fiat Group Automobiles ha immatricolato ad aprile in Italia 49.156 nuove auto, in picchiata del 26,25% rispetto alle 66.651 consegnate ad aprile 2009.

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Moto: vendite in calo ad aprile

Incentivi non sostengono mercato, cresce solo settore 50cc Gli incentivi del governo non hanno fatto ripartire le vendite delle moto, che ad aprile hanno segnato un calo del 14%, a 42mila unita'. Quest'anno, ricorda l'Ancma, la campagna e' partita il 15 aprile e e si e' esaurita in un paio di settimane. Il calo maggiore si e' registrato per gli scooter, con 25 mila unita' consegnate (-15%), mentre le moto, forse anche grazie all'incentivo in percentuale sul listino e ampliato fino a 70 kilowatt, hanno perso solo l'11%. bene i ciclomotori (+18,4%).



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domenica 2 maggio 2010

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Va male per i giovani E l'inflazione sale: 1,5% DISSOCUPAZINE

Secondo i dati Istat il tasso a marzo ha registrato lo 0,2% in più rispetto al mese precedente e un incremento dell'1% rispetto a marzo 2009. Ad aprile l'inflazione sale all'1,5%

Roma, 30 aprile 2010 - Tasso disoccupazione ai massimi dal secondo trimestre del 2002: secondo l’Istat, si è attestato a marzo all’8,8%, lo 0,2% in più rispetto al mese precedente e l’1% rispetto a marzo 2009.



In forte rialzo il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 27,7%, in calo dello 0,4% rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,9 punti percentuali rispetto a marzo 2009.



Vola allo stesso tempo l’inflazione. Nel mese di aprile i prezzi al consumo sono aumentati dell’1,5% su base annua attestandosi ai massimi dal febbraio del 2009 (+1,6%), dopo l’1,4% di marzo. Nel confronto mensile, invece, l’inflazione è cresciuta dello 0,4%. Lo comunica l’Istat che ha diffuso la stima provvisoria sulla dinamica dei prezzi al consumo di aprile. L’inflazione acquisita per il 2010 è pari a +1,2%. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) sale ad aprile dello 0,9% su base mensile e dell’1,6% su base annua (record da dicembre 2008).

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GRECIA PRONTI GLI AIUTI

A Bruxelles tutto e' pronto per la volata finale verso l'ok agli aiuti Ue-Fmi che salveranno la Grecia dalla [...]
BRUXELLES, 1 MAG - A Bruxelles tutto e' pronto per la volata finale verso l'ok agli aiuti Ue-Fmi che salveranno la Grecia dalla bancarotta. La costringeranno pero' a nuove misure di rigore senza precedenti che il premier Papandreou annuncera' domattina. Il pacchetto di prestiti da 100-120 mld in tre anni ad un tasso del 5%, annunciato dal ministro francese dell'Economia Christine Lagarde, sara' erogato 'in fretta', hanno detto il cancelliere tedesco Merkel e il presidente francese Sarkozy.

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Le fiere stanno tenendo botta rispetto alle aziende

L’internazionalizzazione? “Bisogna perseguirla facendo massa critica,e nei prossimi mesi potrebbe scattare l’ora del Mediterraneo”. L’Expo del 2015?”Sarà una grande occasione per tutto il sistema Italia” Armando Campagnoli, detto Duccio, è assessore Attività produttive, Sviluppo economico e Piano telematico dell’Emilia-Romagna, nonché grande esperto di manifestazioni fieristiche: non è un caso che sieda nel consiglio d’amministrazione di BolognaFiere, uno dei gruppi più orientati all’internazionalizzazione in Italia. Nato a Recanati (Macerata) nel 1952, laureato in filosofia, Campagnoli è entrato giovanissimo nel sindacato Cgil.Dal 1981 al 1986 è stato segretario della Fiom dell’Emilia-Romagna, quindi della Camera del lavoro di Bologna fino al 1994. Poi ha iniziato la carriera politica: èstato eletto in Regione nel 1995 nelle liste del Pds e nel 2000 nelle liste Ds.
L’intervista.

Dottor Campagnoli, nonostante la crisi – che mette in grossa difficoltà le aziende e l’economia reale – lei è ottimista sul futuro a breve termine delle fiere, perché?

A parlare sono i numeri: perle imprese sono tutti meno20 o meno 30 per cento; le fiere invece tengono abbastanza bene. Anche se devo ammettere che, a guardare inumeri previsionali, quest’anno sarà senza dubbio duro. Se le fiere tengono, del resto, un motivo c’è: le imprese devono fare “pubblicità” emettersi in mostra. Proprio lacrisi che sta attanagliando il sistema le costringe a raggiungere il cliente attraversoi quartieri espositivi.

E l’internazionalizzazione delle fiere? Come valuta il livello raggiunto fino adesso?

La mia proposta è di fareuna società che potrebbe chiamarsi Sistema Italia, partecipata dalle principali fiere italiane, per andare all’estero e fare davvero sistema e massa critica. BolognaFiere, per esempio, è andata in India ma si è trovata in difficoltà perché non aveva la mole necessaria per battere la concorrenza straniera. Ben inteso, le nostre fiere fino ad oggi all’estero hanno fanno bene, ma hanno senza dubbio le potenzialità per fare ancora meglio.

BolognaFiere e FieraMilano, per fare due esempi, si sono già mosse molto all’estero.

È vero, in Cina e a Mosca hanno davvero dimostrato di saperci fare. Ora tuttavia credo sia arrivato davvero il momento di allearsi e fare sistema. Noi dell’Emilia Romagna – e ci tengo a sottolinearlo – siamo per l’alleanza e l’integrazione internazionale tra le fiere,con Milano in primis. In questo senso credo che l’Expo del 2015, che si svolgerà nella città meneghina, rappresenterà davvero una grande occasione per tutti.

Secondo lei quali sono i mercati più interessanti per crescere all’estero?

India, Cina e il Far East sicuramente, ma anche l’Est Europa, a partire dalla Serbia. Certo con questa crisipotrebbe finalmente scoccare l’ora del Mediterraneo che resta sempre un bacinomolto interessante.

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sabato 1 maggio 2010

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1 Maggio:FESTA DEL LAVORO NONOSTANTE LA CRISI

Un primo maggio dalle grandi vertenze sindacali, quello di quest'anno. A comincia da quella dell'Adelchi, definita la più difficile vertenza del territorio. Sono 680 i lavoratori rimasti in cassa integrazione, altrettanti sono . ormai definitivamente espulsi dal ciclo produttivo e non hanno più ammortizzatori sociali. Dopo 7 mesi di aspre proteste degli operai del calzaturificio tricasino, si è riusciti ad ottenere un tavolo ministeriale sulla vertenza ma il futuro non è positivo. L'azienda non ha tuttora presentato un piano di rilancio industriale, necessario anche per ottenere la proroga della cassa integrazione, in scadenza il prossimo 2 luglio. E a brindisi la Alenia Aeronautica ha comunicato la chiusura in tempi brevi del sito che impiega 74 dipendenti. si prevede la cassa integrazione straordinaria per due anni e mobilità verso la pensione per 25 lavoratori; altri 49 saranno ricollocati nel sito di Grottaglie. Contro questa decisione la denuncia dei sindacati: “La Fiom non è disponibile ad una guerra tra stabilimenti e ritiene che Finmeccanica, attraverso le proprie società, debba mettere in campo tutte le iniziative per trovare soluzioni industriali di rilancio per Brindisi”. A Taranto, la protesta ieri degli operatori e sindacati del call center teleperformance davanti ai cancelli, contro i 647 esuberi annunciati dall’azienda. «Quella di telepeformance - hanno detto - deve diventare una questione nazionale, serve proseguire sulla strade della stabilizzazione». Ad intervenire a sostegno dei lavoratori anche l’ex ministro al lavoro, Cesare Damiano: «Subito gli incentivi e la rimodulazione delle commesse delle grandi aziende, che non possono più essere al massimo ribasso».
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venerdì 30 aprile 2010

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L'altra faccia della Crisi. La peggiore

Nell'Italia delle escort,delle veline che diventano parlamentari,dei realityshow,degli imprenditori che dichiarano meno delle colf,dei calciatori che ci subissano continuamente,giorno e notte,con pubblicità più o meno invasive,c'è anche chi,soprattutto nel nord Italia all'età di 50 anni si. suicida a causa della perdita del lavoro.Persone che si nascondono nel silenzio dei media,persone che non fanno notizia,eppure grazie all'abilità dei governanti a voler voluto questo bel sistema di lavoro precario,di cooperative,di lavoro sottopagato e con turni massacranti,di clientelismo e di raccomandati ,c'è anche gente che non vedendo nessuna speranza nel futuro,oppressi dai debiti contratti con le finanziarie,con la perdita della fiducia in se stessi,non ce la fa,perde la testa e si uccide.Voglio lanciare un grido disperato,che chiama attorno a se una generazione:quella dei cinquantenni senza più lavoro,senza futuro,perchè in questa Italia,se perdi il lavoro,e sei lontano dalla pensione,nessuno ti aiuta,quei pochi aiuti economici statali,sono solo dei palliativi.Sei costretto a passare alla mensa della Caritas,e forse anche a passare le notti nella tua auto,se ancora ce l'hai.Certo che i media,soprattutto certe reti televisive,non danno il minimo risalto a questi problemi,forse perchè l'opinione pubblica non deve sapere,deve soltanto ubriacarsi di spot pubblicitari,di programmi demenziali,di veline e di calcio.Bisogna fare più informazione dei reali problemi che attanagliano questo paese,bisogna fare dei programmi seri,bisogna dare più opportunità alle persone che ne hanno bisogno,in modo che fatti come quello che ho narrato sopra non accadano più
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giovedì 29 aprile 2010

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Sexy Shop In Crisi

Il mercato del sesso, si dice, non vede crisi. La prostituzione, pare dalle prime pagine dei giornali che non conosca recessione e di trans non si è mai parlato tanto come negli ultimi mesi. E i sexy shop?. Siamo stati in alcuni negozi di Milano per sapere quanto la crisi abbia intaccato il settore. Eravamo muniti di telecamera davanti alla quale decine di negozianti hanno declinato l'invito a parlare. Motivo: vergogna, diffidenza a comparire sul web, riservatezza e disinteresse. Possiamo però riportarvi quello che ci hanno detto.
Volevamo sapere se ci fosse stata crisi anche nel loro settore nel 2009 e se il 2010 fosse iniziato nel segno della ripresa; quali fossero gli oggetti più venduti, le nuove tendenze e se Internet avesse impattato in modo irreversibile la vendita di DVD.

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Crisi Grecia, asse Obama-Merkel: piano da 120 miliardi di euro.

ROMA (29 aprile) - Gli Stati Uniti concordano con la Germania sulla necessità di «azioni risolute da parte della Grecia» e «tempestivo sostegno dal Fondo Monetario Internazionale e dai governi europei» per gestire le difficoltà di Atene.
Le nuove linee per fronteggiare la crisi in Grecia sono state delineate in una telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il cancelliere tedesco Angela Merkel che ha approvato il piano di salvataggio della Grecia. Saranno necessari 120 miliardi di euro. Standard&Poor's ha tagliato anche il rating della Spagna (da AA+ ad AA) dopo quello del Portogallo.

Borsa di Atene in forte rialzo in attesa del via libera agli aiuti Ue-Fmi. Positive anche le altre borse europee.

Il governo di Atene intanto oggi sottolinea come non sia in grado di fissare «linee rosse», cioè limiti alle misure di austerità chieste da Ue-Fmi. Il portavoce Giorgio Petalotis in dichiarazioni alla TV Skai ha aggiunto che ci saranno «misure dolorose» senza specificare se riguarderanno anche il 2010 oppure no nel quadro del piano triennale di risanamento.

Oggi incontro i sindacati per informarli sulle nuove «dolorose misure».

Non si escludono nuovi aumenti dell'Iva su alcolici, sigarette e carburanti, nuovi tagli alle indennità dei dipendenti pubblici, congelamento dei salari nel settore privato, flessibilizzazione delle relazioni di lavoro e liberalizzazione dei limiti sui licenziamenti nel settore privato. Non ha escluso tagli alla tredicesima e quattordicesima mensilità, affermando tuttavia che la questione è ancora in discussione. Alcune misure saranno provvisorie e altre permanenti. Il portavoce ha aggiunto che entro il fine settimana saranno conclusi i negoziati con Ue-Fmi.

Intanto l'economista Attali lancia l'allarme: in pochi mesi l'euro potrebbe scomparire. «Ormai non è più questione di mesi ma di settimane. Se non ci sarà un'azione estremamente forte e immediata, l'anno prossimo l'euro non ci sarà più». È quanto afferma, in una intervista a Repubblica, l'economista francese Jacques Attali commentando gli sviluppi della crisi economica greca.

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