mercoledì 4 maggio 2011

0

Brindisi, dove il futuro è lavoro nero


Le vetrine dei negozi del centro sono ambiziose. Vestiti per signora, scarpe alla moda, abbigliamento per giovani, tante marche, prezzi alti. Nell’isola pedonale, che avvicina al porto, Brindisi appare serena, tranquilla. «No dottore, lei si sbaglia» avverte il barista maestro del caffè, più lucido di un’economista: «Questa è una città rassegnata, siamo morti, i giovani se ne vanno, i miei colleghi commercianti si ostinano ad aprire negozi con i jeans e le Nike per i ragazzi, ma a chi le vendono? I negozi durano un po’ e poi chiudono».

Brindisi è una città di 90mila abitanti, in provincia si arriva a 400mila. Il sindaco è uno dei fondatori di Forza Italia, Domenico Mennitti, spedito qui da Berlusconi per conquistare il municipio. Questa città, industrializzata a partire dagli Anni ‘60 con i soldi dello Stato, il petrolchimico e l’energia, vive un paradosso: la sua area industriale ufficiale misura 124 chilometri quadrati, un gigante con pochi paragoni in Italia, ma nessuno sa dire esattamente quale sarà il suo destino economico, quali speranze e quali illusioni si possono nutrire per il futuro.

La situazione è talmente grave che persino Cgil, Cisl e Uil sono riuscite a sottoscrivere un documento unitario e a proclamare uno sciopero generale per dicembre. La realtà oggi è fatta di drammatici numeri e di disagio sociale. Il tasso di disoccupazione è del 25% in provincia (leggermente più alto in città), negli ultimi mesi 2500 lavoratori hanno perso il posto, donne e giovani ormai non si iscrivono nemmeno più alle liste di collocamento perchè tanto non c’è speranza. Chi può se ne va, gli altri cercano di attutire i colpi più duri. «Resiste solo il sommerso, il “nero” rappresenta almeno il 30% dell’economia, forse di più. Siamo arrivati al punto che ormai è una specie di ammortizzatore sociale, consente a chi rimane a casa di guadagnare qualche cosa, ma è una minaccia gravissima per la società, insinua l’illegalità nella vita di tutti giorni, porta la gente a non rispettare le leggi, a non avere più fiducia nello stato, nelle istituzioni» analizza Leo Caroli, segretario della locale Camera del lavoro, che cita l’analisi del sociologo Luciano Gallino: «In certe zone del Paese il “nero” è diventato elemento strutturale dell’economia, questo è il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi. Alcuni miei colleghi mi rimproverano, mi chiedono che senso ha difendere i diritti, richiamare la legge, quando attorno è tutto un disastro».

Il sommerso emerge davanti agli occhi, l’economia illegale ha espressioni quotidiane, si vede, si sente, ti sfiora per strada, ti aspetta sotto casa. Ha anche i suoi aspetti “competitivi”. Massimo Zurlo, 40 anni, un figlio, ha perso il posto dopo 12 anni passati alla Sif, azienda produttrice di film plastico, chiusa perchè la multinazionale Exxon Mobil ha tagliato gli ordini. Racconta: «Fuori non c’è niente, nessuna azienda ti prende a lavorare. Le sole occasioni sono nel lavoro “nero”. Se fai una giornata per la vendemmia o a raccogliere le olive puoi prendere 45 euro. Ma questa cifra è solo per gli italiani. Adesso c’è la concorrenza degli albanesi, degli eritrei, degli africani, loro prendono 25 euro al giorno». Il suo collega Giuseppe Tosafio, 28 anni, sposato, racconta: «Non sappiamo cosa fare, non abbiamo nemmeno la cassa integrazione in deroga perchè siamo stati licenziati prima che fosse concessa dalla Regione Puglia. Così non ci resta proprio nulla».

La crisi sociale e quella industriale vanno di pari passo, si accompagnano e si alimentano. Nel grande polo industriale di Brindisi non mancano certo le aziende, caso mai mancano i progetti, mancano imprenditori coerenti con le loro promesse. Il polo aerospaziale ha una sua bella consistenza, con l’Agusta che qui occupa 560 addetti e dovrebbe fare rete con la Avio e l’Alenia. Ma l’azienda di Finmeccanica che costruisce elicotteri ha deciso di non aderire al consorzio di aziende del distretto. Perchè? Maurizio Coppola, 48 anni, impiegato tecnico all’Agusta ha una sua idea: «Probabilmente c’è un motivo politico sotto, perchè non c’è una ragione logica per cui Agusta aderisce al distretto e poi si tira fuori dal consorzio di aziende. Forse la società è influenzata dai ministri leghisti del governo che spingono per un rafforzamento dei centri del nord, a Vergiate, Sesto Calende, Arona. In più l’Agusta ha comprato in Polonia la PZL che ha 4500 dipendenti e fa le stesse cose che facciamo noi. Ad ogni incontro i manager ci dicono di stare tranquilli, ci danno le pacche sulle spalle, ma le cose non sono chiare».

Dalla difesa si può passare all’energia. Qui è attiva la più grande centrale elettrica d’Europa, la Federico II di proprietà dell’Enel. Brindisi è un potente produttore di energia per il Paese, con qualche conseguenza. «Siamo i campioni nell’emissione di Co2, siamo i leader nelle polveri sottili, non ci batte nessuno» sottolinea drammaticamente il leader locale della Cgil, «abbiamo pure un nastro trasportatore di carbone lungo 12 chilometri, tutto all’aperto». L’Enel si è impegnata a realizzare investimenti entro il 2013 per abbattere le polveri di carbone. Non è finita: il territorio di Brindisi sarà destinato probabilmente a ospitare una centrale nucleare, secondo i nuovi progetti del governo. In più si discute ancora dove creare il rigassificatore Lng, di proprietà della British Gas, pare una vecchia promessa di Berlusconi a Toni Blair.

«L’energia può andare bene, ma noi siamo vittime di un gigantismo energetico mal governato» sostiene Vincenzo di Monte, 54 anni, dipendente della Edipower (colosso di proprietà della Edison, con azionista anche la A2A), «io vengo da Mesagne, un grosso centro agricolo, siamo arrivati al punto che i contadini affittano i terreni per l’installazione dei pannelli solari invece di lavorare la terra. Noi lavoratori assistiamo a queste manovre che ci passano sulla testa, i giganti fanno i loro giochi, intanto fuori si perdono i posti e le famiglie si disgregano». In città molti pensano che il destino di Brindisi e della regione sarà quello di diventare una piattaforma per la produzione di energia e lo smaltimento dei rifiuti, di tutti i rifiuti. Ci sono già casi emblematici: arrivano rifiuti ospedalieri da smaltire e altri misteriosi barili sigillati su cui il sindacato chiede inutilmente notizie. Un gruppo locale ha lanciato il piano «Green Agorà», la piazza verde, per creare un ciclo completo dallo smaltimento alla produzione di energia. Il polo industriale ha bisogno di investimenti, delle bonifiche dell’Eni che sembra pensare ad altro, di sviluppare nuove iniziative. Ma la novità ora è rappresentata dalle piccole e medie aziende che trasferiscono la produzione al Nord, se ne vanno. Scappano.

Come la Europlastic, produttrice di Pvc e laminati plastici. Benedetto D’Adamo, operaio, 48 anni, originario di Carovigno, ha perso il posto con altri 30 colleghi. «Abbiamo lavorato come bestie, l’azienda ha fatto i soldi, ha comprato un’altra impresa vicino a Frosinone. Il padrone è di Milano, un giorno ha chiuso la sede milanese e l’ha riaperta il giorno dopo con un altro nome. Qui hanno fermato la produzione, ma sono rimasti due impiegati e un nuovo macchinario perchè hanno potuto incassare un milione di finanziamenti pubblici. Senza lavoro la vita è difficile, non c’è dignità. Ho iniziato a sei anni da un falegname. Ora sono a spasso, non dormo più.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts with Thumbnails