lunedì 25 gennaio 2010

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A Venezia il Carnevale è in crisi

Taglio di budget drastico, quasi un dimezzamento: per organizzare Carnevale, Redentore, Storica e Capodanno 2010, Venezia Marketing&Eventi ha in cassa, di certo, solo 1,3 milioni stanziati dal Comune e 650 mila euro del Casinò, socio-sponsor al 72%.
La Regione ha. Taglio di budget drastico, quasi un dimezzamento: per organizzare Carnevale, Redentore, Storica e Capodanno 2010, Venezia Marketing&Eventi ha in cassa, di certo, solo 1,3 milioni stanziati dal Comune e 650 mila euro del Casinò, socio-sponsor al 72%.
La Regione ha promesso 200 mila euro e la Camera di commercio 50 mila, ma al momento non sono ancora nero su bianco. Ben che vada 2,3 milioni, quando per il 2009 il budget - troppo ottimistico - era stato di 3,7 milioni, coperti in tutta urgenza dallo stesso Casinò, che ha staccato un assegno da 700 mila euro per saldare due finanziatori «svaniti». Gli sponsor sono un’incognita assoluta, permanendo la crisi.
Così ieri il Cda ha comunicato al direttore artistico Marco Balich che dovrà predisporre un programma al risparmio: se quest’anno il Carnevale - clou della stagione turistica - era costato 1,7 milioni, per il 2010 può contare al momento su un milione, poco più.
E le prospettive sono molto dure: se la VME non riuscirà a trovare nuovi sponsor fallirà il suo mandato. Nel 2011, infatti, gli accordi tra Comune e Casinò prevedono l’azzeramento dei fondi pubblici, dopo lo start up triennale. Finora la società ha fatto risparmiare al Comune circa 1,250 milioni in due anni - rispetto ai 2,7 milioni spesi nel 2007 - mettendo in calendario anche i concerti in Piazza San Marco e la tappa del Giro d’Italia. Ma senza nuovi sponsor la mission diventa impossibile.
Molto fermo il giudizio di Cesare De Michelis, rappresentante nel cda di una delle due cordate di privati che in estate hanno acquisito per 300 mila euro il 28% di VME: «Questa è una società, non un ente benefico, deve trovare cose che si possano vedere: questo il nostro compito. Quest’anno si è registrata una forte riduzione che ha quasi ucciso la società. Un’attività così poco legittima che per sanarla hanno dovuto convocare un’assemblea straordinaria, per coprire la perdita. Siamo molto preoccupati, perciò abbiamo impostato il budget per evitare la morte della società: basta con la logica di lavorare a prescindere dalle entrate».
Ieri - come già annunciato al momento della sua nomina, due anni fa - Mauro Pizzigati si è dimesso da presidente di VME: l’assemblea dei soci, il 30 novembre, nominerà nuovo consigliere e presidente l’ ex assessore al Turismo e consigliere comunale Pd Piero Rosa Salva. Pizzigati ammette qualche defaillance organizzativa, ma difende con i denti il lavoro fatto. «Abbiamo sgravato il Comune dall’onere organizzativo degli eventi, il Carnevale è entrato nel circuito internazionale dei media, i foghi del Redentore mai così belli», incalza, «l’estate concertistica di Piazza San Marco è ormai un appuntamento atteso; abbiamo portato il Giro d’Italia e fatto risparmiare al Comune 1,250 milioni».
«Certo, c’era stata un’ottimistica previsione di budget per il 2009, perché una crisi mondiale di questa portata era imprevedibile», prosegue, «ed è intervenuto il Casinò a coprire il mancato apporto di 2 sponsor, perché scopo della VME è promuovere l’ immagine della casa da gioco e di Venezia. Vero, sugli sponsor siamo ancora carenti. La società ha una struttura snella, di sole tre persone: troppo leggera per poter reperire sponsor in un mercato così difficile. Molto to si può fare su questo fronte, questo il mandato per chi verrà». Affari di Piero Rosa Salva.

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domenica 24 gennaio 2010

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L’anno comincia nell’incertezza ma la crisi aumenta le «occasioni» Con la recessione rallenta anche l’antiquariato e diventano disponibili molte opere


La crisi, almeno, un vantaggio lo porta: fa emergere sul mercato beni fermi da generazioni nelle case e nelle collezioni. È un momento di riscoperta e di occasioni. L’arte è un investimento di lunga durata, e quello che riporta in vendita quadri e arredi è quasi sempre un fatto straordinario: una successione ereditaria o, appunto, una crisi finanziaria. Ma, a parte la sorpresa di trovarsi di fronte a opere sconosciute, questo 2009 c’è il rischio che non porti nulla di buono.
Le grandi aste e le mostre internazionali hanno macinato anni di crescita che sembrava inarrestabile. Poi il 2008, sulla scia della crisi dei subprime e poi col botto di Lehman, ha chiuso in frenata. Ne ha risentito vistosamente l’arte contemporanea, che negli ultimi anni aveva segnato prezzi da ubriacatura. Ed è proprio l’arte contemporanea quella da osservare oggi con la massima diffidenza. Le logiche che la ispirano sono spesso puramente speculative, e la prima abilità degli artisti sembra quella di farsi marketing e pubbliche relazioni. L’arte contemporanea, a differenza di tutti gli altri campi, è veramente globale; è «laica», non risente cioè di religioni o fedi ideologiche; è «facile», perché la sua lettura necessita più di alfabeti suggestivi che di linguaggi culturali. Così, sfruttando un mercato mondiale e trasversale, spunta prezzi impensabili per un fondo oro medievale o un bronzo del Cinquecento. Sarà l’arte contemporanea - avvertono tutti gli esperti - a soffrire di più nel 2009, anno che verrà dominato dalla prudenza e da un rallentamento di compravendite. Le mancheranno le spinte dei fondi hedge e l’euforia provocata dagli arricchimenti facili.

Proprio per questo, il 2009 potrà offrire qualche rivincita all’arte antica, all’antiquariato, a pitture e sculture d’alta epoca. Settori più sottili e, per quotazioni, non paragonabili: sembra un paradosso che un Tiziano debba valere meno dello Squalo in formalina di Damien Hirst, ma è il mercato che decide. Eppure una tela o un mobile antichi sono ormai storicizzati, hanno già dimostrato di saper battere il tempo.
Sul mercato degli Stati Uniti - fa osservare acutamente Giancarlo Graziani, consulente e docente allo Iulm di «Arti patrimoni e mercati» - si sta notando una nuova tendenza. Si apprezzano particolarmente quadri di ottima qualità, di grandi dimensioni e di autenticità ineccepibile. Quelli cioè di standard museale che possono essere utilizzati dai proprietari per conferimenti alle fondazioni da scontare sulle tasse. E rimanendo in tema di leggi, si può anche riflettere sulle maglie strette della legislazione italiana, che con l’istituto della notifica di fatto limita fortemente la circolazione delle opere d’arte oltre il territorio nazionale. «Il nostro è il Paese meno liberale del mondo, e prima o poi dovrà adeguarsi - sottolinea Graziani -. Se gli Impressionisti fossero stati sottoposti agli stessi vincoli, oggi non avrebbero né mercato mondiale né quotazioni così elevate. Questo significa che tanta arte italiana è sottostimata anche per questo, e che quando le regole cambieranno, adeguandosi all’Europa, non potrà che crescere di valore».
Come in ogni periodo economicamente difficile, comprerà chi avrà denaro in abbondanza, e quindi non dovrebbero risentire di grandi oscillazioni le opere di alto livello qualitativo. Si continueranno a cercare nicchie di qualità ovunque, dai bronzi rinascimentali ai gioielli Art nouveau, dai fondi oro alle scuole regionali italiane: nella consapevolezza che la bellezza, in sé, è un valore oggettivo, che non si svaluta mai. Ma nel 2009 il mercato risentirà anche dell’immobilismo di un’importante componente della domanda: banche e fondazioni bancarie, finora grandi acquirenti di opere di livello, resteranno alla finestra. Le priorità purtroppo sono altre.
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Antiquari un marchio contro la crisi

Gli antiquari di Roma «caput mundi» non ci stanno. La crisi economia è innegabile e colpisce tutti i settori, compreso quello dell'arte. Specie quando il mercato è fermo. Mobili, gioielli, dipinti, statue e ogni altra opera artigianale è inevitabilmente legata ai nostri vasai, orefici, argentieri, falegnami. Tutte opere di altissimo pregio, che pur rappresentando un valore in crescita nel tempo, spesso non riescono a far cassa nel breve periodo. È qui che entra in gioco la necessità di tutelare la categoria. Ma il vero problema degli antiquari è la divisione storica che c'è tra loro, come se esistessero due categorie: una di serie A, formata dalle botteghe del centro storico, e l'altra di serie B, costituita da gallerie di altre vie del centro o addirittura di periferia.



«Siamo troppo individualisti», sbotta Paolo Rufini, antiquario di via dei Coronari, che da anni cerca di unire la categoria in un'unica realtà, «finché i sei o sette big dell'antiquariato romano si opporranno alla nostra unione, non riusciremo a far sentire la nostra voce. È un peccato, visto che in tutta la Capitale saremo circa in 1.200, potenzialmente una vera forza trainante». Urge, dunque, pari dignità per gli antiquari, sia quelli di via dei Coronari, che quelli di San Basilio: uniti per vincere. «Le divisioni tra di noi fanno male all'arte», rincara Paola Cipriani, antiquaria di via Giulia, «per superare la crisi economica ci vorrebbe più sensibilità verso la categoria. Ma ci sono troppe fazioni, così non riusciamo a farci rispettare».

A lanciare una proposta che potrebbe unificare la categoria sono l'antiquario Rufini e l'avvocato Vincenzo Pate, tra i fondatori dell'associazione Provarte. «Per promuovere e difendere l'arte e la cultura, come strumento di certificazione, autenticità dell'opera e garanzia della qualità, alla prossima edizione di Antiquari nella Roma rinascimentale, che si terrà al S. Spirito in Sassia dal 17 al 25 ottobre prossimi, lanceremo il marchio Provarte. Ma dobbiamo essere uniti». Da notare che la figura dell'antiquario non si riduce a semplice acquirente di opere d'arte, ma a quella di intenditore, a volte di restauratore e anche di artigiano. Nel cuore della nostra Roma antica, oltre alle gallerie, ci sono ancora rare isole fuori dal tempo, splendide botteghe che testimoniano antichi mestieri. Un mondo più unico che raro, da valorizzare, apprezzare e preservare.

La lettera - Mi piace curiosare tra le fiere e le mostre mercato che si svolgono in tanti luoghi della mia città. Mi piacciono quelle dove ci sono molti stand che espongono cose antiche. Dai mobili all'oggettistica. Ma anche quelle botteghe antiquarie dove gli esperti sono artigiani e restauratori ai quali chiedere lumi su un pezzo scovato nella cantina di una vecchia zia. Anche loro però parlano di crisi. Hanno i magazzini pieni di pezzi antichi e di opere d'arte. La crisi è innegabile e anche loro, un po' come tutti i settori, sono in una congiuntura sfavorevole. Però, a differenza di un negozio di abbigliamento non hanno merce che passa di moda. Anzi, col tempo il loro magazzino dovrebbe aumentare di valore. O comunque tenere il mercato. È vero, hanno speso dei soldi, ma possono contare, un giorno, di recuperarli maggiorati. È come se avessero un investimento sicuro. Allora, di che si lamentano?

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